In principio c’erano una torta di compleanno, delle pizzette e sorrisi fanciulleschi stampati sui volti. Un’istantanea che restituiva i colori accesi di un mondo fatto di innocenza e spensieratezza. Poi le prime ginocchia sbucciate, i primi schiaffi morali e la strada verso l’età della consapevolezza corre giù veloce.
Bianco e nero. Una macchina girata su un lato che sembra essere stata abbandonata in una zona rurale o forse è la piazzola di uno sfasciacarrozze. Non è più allineata sull’asfalto, ma non è nemmeno totalmente cappottata. Dà l’idea di un senso di instabilità. Se destinato ad essere sciolto positivamente dipenderà anche dal guidatore. La berlina potrà capovolgersi e diventare un mucchio di lamiere o tornare con le quattro ruote per terra.
I beni materiali come metafora per analizzare il senso di finitudine e di precarietà delle persone e delle loro emozioni. La presa di coscienza della realtà per una riflessione profonda sul senso del dolore e della perdita. Di una persona cara, di un amico, di sé stessi, del senso di vivere. Una Società, quella odierna, nei cui bassifondi si nascondono sentimenti bui, come mai prima d’ora. Ansia, solitudine, depressione sono in aumento. Emozioni difficilmente confessabili, di non facile decifrazione. Il benessere sociale occidentale, con la vittoria del materialismo e dell’edonismo sfrenato, dove molti vengono lasciati indietro. Una società di dimenticati, di reclusi, di minoranze silenziose. Ma non ci sono veri successi e fallimenti. Sei tu che ti appropri di queste categorie e decreti cosa vada in una lista e cosa nell’altra. Puoi provare a cambiare ed essere una versione migliore di te. Ed è comunque sempre meglio uscire dal tracciato, cadere e fare esperienza che sacrificarsi sull’altare dell’immobilismo.
L’io esiste in quanto dopo aver raggiunto la consapevolezza, sperimenta il dolore, solo allora ha la prova di essere qualcosa in più di un semplice animale.
Sta a noi elaborarlo e trarre nuove energie dopo essere sprofondati negli abissi dell’inconscio. Spezzare il loop spazio-temporale, combattendo prima di tutto per noi stessi provando a vedere le cose da nuove e più privilegiate prospettive.
La facilità con cui i Quercia riescono a fare male è impressionante. Penserete che quel ritornello uscito fuori con tutto il pathos possibile dalla gola di Luca sia stato scritto da voi. Vi rimaneva solo trovare chi lo urlasse al posto vostro.
Saltati in aria gli orpelli indie ed acustici dell’ep di esordio, il suono diventa potente e cupo. Sembra di trovarsi in mezzo ad una tempesta in balia delle onde, soltanto che in verità queste esistono solo dentro la testa. Ed allora bisogna trovare un’ancora da dove poter analizzare la situazione e governare le nostre paure per vederle in faccia. Imparare a vedere nel buio e non averne timore è una sfida che bisognerà rinnovare di giorno in giorno.
I sardi fanno una radiografia allo scheletro dell’animo umano, destrutturano pensieri e suoni restituendo un college di immagini spesso amare. Destabilizzano, lasciando però al tempo stesso spiragli per poter ricucire i tagli e ripartire anche domani. Bruciare negli inferi, purificarsi per poi poter iniziare l’ascesa. Lo stesso inferno che potrebbe bruciare, nelle proprie stanze, chi non lo capisce.
Essere padroni della mente e del proprio destino. Non sarà una sfida facile, di fronte alle fascinazioni del nichilismo e del caos distruttivo.
Ogni alba segnerà l’inizio di un nuovo capitolo della battaglia combattuta sulla linea d’orizzonte tra la tua vita e quella di tutti gli altri. I segni saranno visibili anche sul corpo, ma la fine non è la fine. Un giorno forse arriveranno i rassicuranti giorni della quiete.
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