La scena underground brulica di artisti per natura incapaci di provare appagamento per la propria nicchia di genere, per la specifica cerchia di pubblico conquistata.
Su queste pagine l'anno passato ho scritto con piacere dell'esplosione di Quadeca grazie ad "I Didn't Mean to Haunt You". Ebbene, anche la popolarità di quickly, quickly nasce online, sebbene in modo più laterale.
Graham Jonson, pianista e polistrumentista con sede a Portland, ha cominciato nello scorso decennio a pubblicare sotto questo alias su SoundCloud i propri brani auto-prodotti. Il successo è arrivato in punta di piedi con il passare degli anni: le coordinate lo-fi hip-hop delle sue produzioni gli hanno assicurato posti sempre più fissi nelle playlist di musica per rilassarsi e concentrarsi ed il suo nome si è così diffuso anche su altre piattaforme, principalmente YouTube.
Uscito a tutti gli effetti dalla propria nicchia, l'artista racconta di aver notevolmente diversificato i suoi ascolti grazie ad un abbonamento sottoscritto a Spotify nel 2018. "The Long and Short of It", pubblicato nel 2021 per la brooklyniana Ghostly International, è al tempo stesso il culmine della sua maturazione ed il primo passo di una carriera che si prospetta di notevole livello.
Jonson non rinnega del tutto il passato, ma di hip-hop in questo full-length rimane ben poco, forse solo la sezione ritmica di "Shee" (ed è bene notare che in questo progetto è lui a suonare la quasi totalità degli strumenti). Le strutture mutevoli e frammentarie dei beat giovanili hanno lasciato il posto ad una maggiore consapevolezza ed organicità. Un tradizionale approccio cantautorale (in molti hanno accostato alcuni episodi del disco alla musica del concittadino Elliott Smith) si mescola con l'esperienza della Internet music e con contorni di genere parecchio sfumati.
La traccia di apertura, "Phases", è un tripudio di suoni e colori, una montagna russa che si dipana su coordinate jazz fusion e vanta numerose sezioni splendidamente assemblate. Introdotta dai suggestivi versi di Sharrif Simmons, trae le sue premesse da suoni naturali e percussioni leggere, cullandoci così fino alla strofa, cantata dalla voce quasi indolente di Jonson. Metafore cosmologiche e stati d'animo rimangono intrecciati, mentre si susseguono dialoghi chitarristici, un evocativo breakdown (in cui a farla da padrone è, guarda un po', il phaser) e un assolo liberatorio di sassofono.
Sarebbe eccessivo pretendere la stessa grandiosità dal resto del disco, che tuttavia si assesta su ottimi livelli, puntando su armi meno appariscenti ma ugualmente seducenti ed avvicinandosi stilisticamente – con le dovute proporzioni – alla vulnerabilità di un Frank Ocean. La varietà è notevole, ma gli arrangiamenti di archi e gli ordinari strappi alla forma-canzone rendono omogeneo il tutto.
In un album dalla produzione eccellente, a risultare incerta è solamente la voce. Il falsetto che Jonson sfodera nel ritornello di "Shee", ballata dalle tinte neo-soul, è un piacevole diversivo rispetto al suo repertorio comprensibilmente limitato. Meno riuscita dal punto di vista vocale la radioheadiana "I Am Close to the River", che pure ammalia ed ipnotizza grazie ad una magistrale conduzione degli archi.
Da citare ancora l'autunnale groove di chitarra sfoderato nella bella "Everything Is Different (to Me)" ed accompagnato dai consueti swell orchestrali, nonché l'introspezione testuale dell'uptempo "Feel" ("Something in his face just cuts right through me / The amount he gave and what little he received / I can see truth in the way he's healing / A little like me, a little devoid of feeling / Could it be the same breath that we're breathing?").
Nonostante certi momenti forse troppo minimali ("Come Visit Me") ed un paio di interludi soverchi, "The Long and Short of It" è a tutti gli effetti un incantevole "secondo debutto" per quickly, quickly, un lavoro che mostra un potenziale sconfinato e una creatività fuori dal comune.
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