Rock da dinosauri, suite pachidermiche, musica giurassica, sono solo alcune delle definizioni che possono venire in mente per denigrare quel gusto tipico di certo rock tardo psichedelico (più spesso del progressive rock) in voga negli anni 70, che vedeva la lunghezza delle canzoni dilatarsi fino a coprire intere facciate, con conseguenti e irreversibili epidemie di sbadigli negli ascoltatori.
Ma qui siamo ancora nel 1969, il sole acido della California non è ancora del tutto tramontato ed ecco che i venticinque minuti di Who Do You Love (cover di Bo Diddley), si rivelano un'incredibile macchina di buone vibrazioni. Impossibile infatti, almeno per chi scrive, annoiarsi ascoltando le chitarre di John Cipollina e Gary Duncan che duellano alternando agguati, rinvii, ruvidità e sinuosità, sostenuti dal galoppo di una ritmica che trova sempre il tempo giusto per stare dietro ai due, ora quasi boogie, ora più vicina al jazz.. Un serpente di mercurio che scorre veloce, poi più piano, si nasconde e riemerge con aspetti sempre diversi, senza mai liberare dalle proprie spire chi incautamente incrocia il suo percorso...
Nel secondo lato il sabba si sposta in qualche assolato deserto e i toni si placano apparentemente nella sabbiosa indolenza di Mona (un'altra cover di Bo Diddley). In Maiden Of The Cancer Moon il sole sferra le sue impietose sciabolate di luce e l'ombra dei cactus è sempre più esile per trovare riparo; a confermare che sotto l'arsura l'acidità rimane altissima ci pensa il sinistro flamenco di Calvary che inventa di fatto una plausibile forma di psichedelia da insolazione, prima dello scherzetto finale della title track. Un suono essenzialmente basato su uno stile chitarristico multiforme, asciutto e nodoso, che ha retto ottimamente il peso degli anni, a differenza di altri esempi di acid rock, se è vero che dai Quicksilver sono stati influenzati nei decenni successivi personaggi al di là di ogni sospetto come Tom Verlaine dei Television o altri più facilmente indiziabili come Guy Kyser dei Thin White Rope.
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