Nati tra i garage della più acida e allucinata San Francisco, facendo capolino alle spalle della più marcata popolarità goduta dai concittadini Jefferson Airplaine e Grateful Dead, i Quicksilver Messenger Service partorirono, nel 1969, il terzo capitolo della loro avventura discografica, questo Shady Grove che si lanciava audacemente nel mercato discografico, dopo la timida accoglienza riservata ai lavori precedenti, ossia del debut Quicksilver Messenger Service e del successore Happy Trails; due album che nonostante lo scarso riscontro commerciale, rimangono tuttora inossidabili manifesti del gruppo, oltreche immortali esempi del più alto rango dello psych rock mondiale. Il maggior pregio di questi dischi può essere compreso udendo le “schitarrate” del duo John Cipollina/Gary Duncan, che intervallando uno stile improvvisato e cervellotico, crearono capolavori d’incandescente magia come la suite Calvary, inclusa nell’immortale predecessore di Shady Grove.

Dopo aver consegnato ai posteri la sua massima espressione artistica, il gruppo subì un dolente taglio alla line up, dovuto al (momentaneo) abbandono di Duncan. Consci di dover registrare il nuovo disco con una chitarra in meno, i restanti membri della band scelsero di ridimensionare il sound, ingaggiando Nicky Hopkins, pianista che aveva recentemente contribuito alla realizzazione di pezzi storici come Their Satanic Majesties Request e Beggars Banquet dei Rolling Stones. La stesura nei nuovi brani prevedeva perciò un ampio uso di piano e tastiere, inserite in strutture più accessibili e melodiche, prova di come il gruppo sperasse d’agguantare i favori del grande pubblico. La missione fallì miseramente.

Shady Grove è un disco che ha acquistato valore nel tempo e che necessita di più ascolti per essere correttamente assimilato. Potrebbe pure turbare quelli che conoscono solo i primi lavori della band, quelli che si aspettano un sound basato sulle chitarre, perché stavolta sono le tastiere a farla da padrone, con un Hopkins che si mostra protagonista assoluto già al primo riff del disco, che apre il country rock della galoppante title track. È solo l’inizio: Flute Song è una romantica e struggente ballad dove Nick stende un soave tappeto di note in fase solista, mentre 3 or 4 Feet from Here, Too Far e Holy Moly risentono molto delle recenti prove di Nick con gli Stones, benché, curiosamente, il pianista non abbia firmato nessuno di questi brani. Torna invece maggiore personalità nella seconda parte dell'album con una Joseph’s Coat che recupera un filo d’acidità nelle chitarre, e con la corale ballad Flashing Lonesome all’insegna della più marcata psichedelia. Dopo una Words Can’t Stay che torna agli inserti rock and roll dei pezzi centrali, si schiude Edward the Mad Shirt Grinder, dove avviene finalmente quello che in realtà ci si aspettava di sentire in più punti del disco: uno scambio di convenevoli tra chitarra, piano e tastiere. Nove minuti d’aggressivi e sublimi fraseggi, per un’articolata strumentale dal retrogusto “jam session” (stavolta l’autore è davvero Hopkins).

Avrà pure venduto poco ma Shady Grove rimane un disco artisticamente riuscito che inaugura la svolta melodica della band, che sarà approfondita dal successore Just for Love, dove tornerà Duncan e anche Dino Valenti, il cantante/fondatore del gruppo, fino a quel momento trattenuto in carcere per questioni legate alla droga.

Federico “Dragonstar” Passarella

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