I Quintorigo rappresentano senza dubbio qualcosa di particolare nell'attuale panorama musicale italiano: violini, violoncello, sassofono, contrabbasso, cello, talvolta il piano sono i loro strumenti, insoliti nella musica leggera.
Uno dei tratti caratterizzanti di questo quintetto è la singolare voce di John De Leo, una voce nervosa, acuta e vibrante che spesso si eleva in prolungati falsetto. Altra peculiarità consiste nella scelta degli strumenti, già sopra elencati, per produrre pezzi "rock-pop-d'autore". Un'ulteriore caratteristica sta nelle scelte compositive, perché non c'è mai nulla di banale nelle loro composizioni. I Quintorigo a volte stravolgono la struttura della canzone pop come noi la conosciamo, altre si divertono comunque a giocare con i suoi stilemi, poiché, in ogni caso, utilizzano strumenti fuori contesto che postulano, entro certi limiti, una reinvenzione del cliché di partenza. Ciò a maggior ragione vale per le loro cover, che a volte suonano come se fossero dei brani inediti, tanto finiscono per divergere dai brani originali.
Nel lavoro ne sono presenti tre: la cover di "Night And Day" di Cole Porter (meglio questa dell'insipida versione elettronica di Bono, uscita qualche anno fa) quella di "Clap Hands" di Waits (qui Di Leo non sembra totalmente a proprio agio: Waits può cantarlo solo Waits...) e quella del classico senza tempo "Darn That Dream" di Eddie DeLange.
I brani inediti sono molto differenti l'uno dall'altro. Ci sono i coinvolgenti crescendo di "Neon-sun", una delle più belle tracce (si rischia la sindrome del karaoke); c'è l'ambiziosa "Rap-Tus", trittico rap (l'unico brano in cui compaia una batteria) che usa campionamenti di violino e di violoncello amplificati tipo chitarra elettrica e ha un chorus "ruffiano", supportato com'è da una orecchiabilissima melodia di fiati che strizza l'occhio alla dance. Da segnalare anche il testo, un intrigante divertissement su un immaginario condominio con un misterioso inquilino inesistente.
Il lavoro vede anche l'illustre partecipazione di Fossati, nella trasognata "Dimentico" e nell'onirica "Illune".
C'è posto anche per le opprimenti atmosfere di "U.S.A. E Getta", dominate dai fiati, che se da un lato evocano suggestioni alla Brecht, dall'altra con la loro ottusa ripetitività simboleggiano l'imbecille logica produttivistico-aziendale, che dopo aver spremuto il singolo, può solo gettarlo via, in conformità alla ferrea equazione "l'azienda non va-non vali". L'unica soluzione è il licenziamento, con buona pace dei desideri, delle aspirazioni, dei bisogni della persona. Il brano si riallaccia al leitmotiv del disco, la prigionia per l'appunto, come può essere quella in una alienante società strutturata come un'azienda...
In tal senso siamo un po' tutti prigionieri, più o meno consapevoli di esserlo. A tutti coloro che sopportano una condizione di prigionia non resta che l'oblio del sonno. Non a caso il cd comincia e finisce con una ninna nanna: "Per altri è già mattino/ Per me è cielo capovolto/ Il sogno dorme a riva/ Aspetta l'onda/ Aspetta l'ombra/ E canta l'ombra/ E poi nell'ombra/ Ritornerà"...
"In Cattività" è emozionante ed eclettico, a volte crepuscolare, a volte maestoso per l'imponenza degli arrangiamenti, da ascoltare ripetutamente per apprezzare le molteplici sfumature offerte dalla sua complessità.
Un disco non per tutti, comunque.
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