Secondo full-length e pure ultimo capitolo ufficiale per i Rabies Caste che per questo disco si erano pure accasati con l'illustre Earache Records.

Quasi praticamente sconosciuti nei circoli del DeBasio (suppongo), questo trio direttamente da Gerusalemme, Israele, non ebbe vita lunghissima: nascono nel 1995 e mettono la parola fine alla loro avventura nel 2003, pubblicando qualche demo/EP e due album in studio in questo lasso di tempo, pubblicando qualche disco di materiale inedito postumo. Vantano anche più di una decina di apparizioni in diverse compilation di svariate case discografiche indipendenti.

Uscito nel 2001, "Let The Soul Out And Cut The Vein", da considerarsi il salto di qualità della loro carriera, è un disco degno di nota per la proposta interessante contenuta in esso: sebbene non così originale, il trio porta avanti il manifesto di uno Sludge contaminato, con reminiscenze Groove/Industrial riscontrabili in molteplici riff qui presenti.
Già l'accoppiata "Sludge & Israele" è decisamente inusuale, chi se l'aspettava pure uno Sludge più personale in quel lontano 2010.

Le caratteristiche principali che si notano subitissimo sono due: voce iper distorta e processata e battiti sul rullante che sembrano violenti colpi su fusti di latta. A mio parere, ottimi ingredienti per un prodotto ancor più ruggine e grezzo, più fangoso. Penso ai Rabies Caste come tre benzinai dalla scarsa igiene personale e con un bisogno non indifferente di interventi odontoiatrici in una stazione malfamata. Odore di gasolio.

L'inizio del disco non è dei migliori, diciamo. "Got It From Blake", "Prove Me" e "The Bleeding Mermaid" non sono troppo entusiasmanti, eccessive similitudini tra di loro, ma si cominciano a sentire le reminiscenze di cui parlavo, con riff leggermente robotici. In generale, ci saranno ottimi riff che non hanno la necessità di essere complessi o articolati per opprimere l'ascoltatore.
Con "There Is Nothing You Have Seen", tra i momenti chiave complessivi, cominciano le cosiddette perle: il brano in questione comincia un po' sottotono per poi vomitare tutto in una sfuriata melmosa, in una specia di ritornello (?).
Dopo decenti brani più Doom oppressivo e dal marchio più classico ("Out In The Solar System", "Steel Right Through The Mouth"), il trio sfodera le armi dal grosso calibro con proiettili a nome di "Hand Abortion" e "Haemophilia", gli altri picchi del disco: pezzi che non lasciano tregua tra armonici, incredibili sfuriate, attacchi d'epilessia tremendamente Groove.
Dopo aver viaggiato a 4 minuti circa per ogni brano, i 9 minuti di "Andrea" chiudono il ciclo in cui succede di tutto: manipolazione elettronica, manifestazioni Doom dal carattere dispotico, minuti di silenzio e una coda di 30 secondi di solo feedback da "mal d'orecchie" (EARACHE).

45 minuti totali di tira e molla tra delirio anfetaminico e down post-botta.

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