Alfieri di un certo modo di suonare heavy metal nella seconda metà degli anni '80, e cioè uno speed metal molto tecnico, infarcito di assoli a "tutto-shred" ad opera della chitarra di Paul Gilbert (poi coadiuvato da Bruce Bouillet in occasione del secondo album) e anche del basso di John Alderete, i Racer X si separano nel 1989, a causa di uno scarso supporto da parte della casa discografica da una parte e del coinvolgimento di Paul in un progetto messo in piedi da Billy Sheehan, (tali Mr. Big...) dall'altra. 

Dopo circa un decennio, i quattro (oltre a Gilbert ed Alderete, ci sono anche Jeff Martin alla voce e Scott Travis alla batteria, mentre Bouillet non è della partita) si riuniscono e danno alle stampe l'ottimo "Technical Difficulties", seguito appena un anno più tardi dal qui presente "Superheroes".

Racchiuso da una copertina tra il pacchiano e l'inguardabile (e dovreste vedere l'intero booklet una volta aperto in tutta la sua "magnificenza", uno spettacolo veramente raro...), l'album presenta 11 tracce che segnano un leggero passo indietro dall'heavy metal grezzo e potente del precedente "Technical...", a sonorità più vicine a quelle che resero famosa la band negli anni '80.

L'opener nonchè title-track è una dichiarazione d'intenti: riff tirato, doppio pedale, velocità ben oltre i 200bpm di metronomo e voce che raggiunge altezze siderali, oltre ovviamente all'immancabile funambolico assolo di Gilbert; sembra davvero di esser tornati ai tempi di "Street Lethal". Impressione rafforzata da una produzione fortemente chiassosa, piena di sovraincisioni ed effetti vari, tra urla, fischi e distorsioni volutamente esagerati che permeano ogni singola traccia.

 Le canzoni appunto: si spazia dal roccioso heavy metal di "Let the Spirit Fly" o "Dead Man's Shoes", all'hard rock goliardico e chiassoso della conclusiva "O.H.B.", con anche una capatina in territori piuttosto inusuali per la band, rappresentati dai sette minuti e passa di "Time Before the Sun" che alterna strofe accompagnate dalle sole chitarra acustica e percussioni ad un ritornello più pesante, per finire con una lunga coda strumentale; il tutto condito da un'ottima interpretazione di Martin, finalmente in perfetto controllo della sua ugola lungo tutta l'estensione di cui è capace. Ma cosa sarebbe un album dei Racer X senza una canzone strumentale? Niente paura, qui ce ne sono ben due: la prima è la velocissima "King of the Monsters", dove come al solito sono i botta e risposta tra chitarra e basso a farla da padrone; la seconda è invece "Viking Kong", dove Gilbert ne combina veramente di tutti i colori (ascoltare dal minuto 2:30 in poi per credere...). Piccole curiosità: tra le tracce si trovano anche una personalissima e riuscita cover del classico "Godzilla" dei Blue Öyster Cult, ed una ballad, "Mad at the World", dalla genesi un po' confusa; si tratta infatti di un brano spesso suonato dal vivo dalla band nei concerti tenuti negli anni '80 ma mai incisa prima di questo album, ma il cui giro di chitarra principale sarà ripreso dai Mr. Big che ci confezioneranno "My Kinda Woman" (contenuta in "Lean into It" del 1991).

In conclusione, la band di Los Angeles è tornata a fare quello che sapeva: suonare un metal potente ed infarcito di virtuosismi, senza che questi vadano a discapito delle canzoni, appesantendole o rendendole meri esercizi di tecnica (anzi: ogni singolo pezzo è un perfetto bilanciamento tra perizia strumentale e soluzioni melodiche di facile presa); il tutto senza prendersi troppo sul serio; bastano le identità che i quattro si sono scelti (Motor Man-Martin, The Electric Bat-Gilbert, The X-Tinguisher-Alderete e The Cowboy Axe-Travis) con annessi costumi di pessimo gusto a dimostrarlo. Un altro buon lavoro, forse inferiore al precedente a causa di una presenza a volte veramente eccessiva di effetti e sovraincisioni vari di cui dicevo poco sopra (tra cui il campionamento di uno scherzo telefonico di sottofondo ad "Evil Joe"), ma che fanno così fortemente anni '80, il periodo di quelle luci al neon e di quella voglia di velocità ed eccessi...

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