I Radiohead sono diventati una band su cui è difficile esprimersi senza avere un qualche tipo di pregiudizio, perchè tanto si è scritto e detto su di loro che nel bene e nel male non si riesce più ad essere completamente obbiettivi.
L'uscita di ogni nuovo album si carica di aspettative tali che per un mese, poi, si sentono soltanto opinioni stra-entusiastiche o stra-deluse. Nessuna via di mezzo, se non con l'incertezza che "qualche ulteriore ascolto porterà consiglio".

In effetti, per quanto riguarda "In Rainbows" la band di Thom Yorke ha offerto tanti di quegli spunti non strettamente musicali che la discussione si infittita ben oltre la cerchia dei fans e degli appassionati. La scelta di distribuire ad offerta la versione digitale "virtuale" del disco ha avuto grandi attenzioni dai media e in un certo senso ha persino adombrato il reale contenuto del progetto, ovvero la musica. La suddetta scelta a suo modo ha definitivamente scardinato ciò che ancora resisteva: un gruppo sotto contratto con una major, considerato di culto e abituato a vendere molto che decide in quella direzione è un fatto rilevante.

Meno rilevante, alla fine, sembra essere l'iter evolutivo dei Radiohead, che dopo la sortita solista e minimalista di Yorke è tornato alle chitarre, ai suoni elettroacustici e ad un approccio intimista più tradizionale, pur mantenendo un marchio di fabbrica ben preciso. Inevitabile, a mio avviso, che la soluzione di un uso sempre più radicato dell'elettronica e della sperimentazione applicata alla forma canzone non potesse avere futuro. "Kid A" aveva fatto germogliare una svolta coraggiosa che svincolasse dall'ingombrante presenza di "Ok Computer" il futuro del gruppo; ma non aveva inventato nulla di nuovo.... semplicemente aveva innestato sullo stile Radiohead un differente approccio sonoro.

"In Rainbows", oggi, sembra prendere una strada che sta a metà tra "The Bends" e "Amnesiac", tralasciandone gli ingredienti più ovvi e incentrandosi su ballad non orecchiabili e malinconiche graffiate chitarristiche, senza molte concessioni alle tastiere e puntando - ovviamente - sull'interpretazione vocale di Yorke; che qui più che altrove sembra fare la differenza.

Sulle prime l'album non sembra avere guizzi particolarmente interessanti. Anzi, si fa difficoltà ad ascoltarlo per intero con la stessa attenzione. Poi, pian piano, emergono temi e arrangiamenti più accattivanti e ogni traccia assume un suo profilo preciso.

L'atmosfera è pervasa da un mood sicuramente non solare, nel migliore dei casi nostalgico. Tuttavia qui gli arcobaleni ci sono e a differenza che nei capitoli inquietanti della "caduta dell'impero romano d'occidente" (Ok Computer e Amensiac, per i profani) qui la musica si condensa tra l'uomo e la natura, tra i pensieri e i gesti. Regalando così una sensazione non scontata di rinnovamento che parte da qualche passo indietro e riesce ancora a stupire.

"In Rainbows" non appare particolarmente prodigo di post-produzione, così come prodigo di una scrittura ispiratissima. Ma è forse questo il suo punto di forza: un equilibrio che lascia da parte la voglia dell'ennesimo capolavoro per emozionare con le sfumature e i piccoli dettagli.

Ascolti "Jigsaw", o "15 steps", e cogli qua e là i bagliori che ti inducono ad ascoltare ancora. Ogni traccia un capitolo a sè stante. E l'album diventa probabilmente il meno Radiohead di tutti pur avendo in primo piano tutti gli ingredienti Radiohead.

Io comunque mi comprerò l'edizione tangibile e speciale, perchè i dischi mi piace che abbiano il loro corredo grafico e iconografico. Per adesso mi godo gli mp3 e applaudo.

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