Quattro anni di attesa, ma alla fine eccoli qui, i Radiohead, fuori dall’isolamento e con un nuovo lavoro.

"The King Of Limbs" non si discosta molto dal precedente lavoro, dal quale sembra trarre le migliori sonorità, cercando di svilupparle ulteriormente; personalmente, credo che 8 canzoni siano un po’ poche per la grande attesa che c’era, ma ascoltiamole e approfondiamole una per una…

Il disco si apre con "Bloom"; un arpeggio di piano ci introduce in una visione onirica, ma subito lascia il posto ad un rocambolesco ritmo che pare sostenuto da percussioni improvvisate con scatoloni: davvero non convenzionale, ma in pieno stile Radiohead! La voce di Yorke come sempre è fantastica e ci trascina in questo suo tentativo di distaccarsi dal dolore e dai “perché” , alla ricerca di un “sospiro universale”. L’immagine finale di questo individuo che si trova a nuotare tra le meduse è emblematica e le atmosfere sonore create da Colin Greenwood sono, come al solito, in perfetta sintonia con il messaggio della canzone. Ma in tutto il pezzo, così come in tutto l’album, è il basso a dare una struttura solida; forse l’elemento più dominante e protagonista dell’intero disco.

L’atmosfera di cui sopra viene interrotta da "Morning Mr. Magpie", secondo pezzo: una batteria molto in stile Weird FIshes/Arpeggi” accompagna una chitarra in palm mute, contrapposta ad una arpeggiata ma che non si rende troppo protagonista, accompagnando semplicemente il canto di Thom; che questa volta sembra ricaduto sulla terra, disilluso ed arrabbiato, e rivuole indietro quella magia che gli sembrava di poter raggiungere poco prima… “And now you stole it, all the magic…took my melody”.

E siamo così a "Little by Little", per fortuna non un tribute agli Oasis…ma forse a Beck! O almeno questa è stata la prima associazione che ho fatto ascoltando la ritmica del pezzo, con la prima chitarra che si limita ad “accentare” gli accordi, mentre la seconda sembra continuare sullo stile del brano precedente, suonando ogni nota senza mai discostarsi da quelle del vocalist.

L’album inizia a crescere di ritmo, che diventa sempre più sostenuto, incalzante, di pari passo con gli umori di Thom, che in questo brano si affaccia apertamente nel suo lato oscuro, parlando di un non ben definito amore tradito…ma sappiamo che i suoi testi sono aperti a mille interpretazioni, quindi vi lascio intendere liberamente la vostra all’ascolto…

"Feral" è il primo vero esperimento interessante del disco: di fatto è una strumentale, sebbene lo strumento principale del brano sia…la voce! Campionature di vocalizzi “riverberati” al massimo e richiamati dalla “vera” voce di Thom fanno da contraltare ad un ritmo tribale e quasi frenetico.

E siamo alla quinta traccia, che è anche il primo singolo estratto, "Lotus Flower", un brano molto trascinante, sicuramente la scelta migliore come primo singolo…e tra l’altro il senso di trascinamento è espresso benissimo dal videoclip, dove Thom Yorke si lascia andare in una danza mistica e ipnotica. E sono mistiche le immagini “proiettate” dalla sua voce nella mente di chi ascolta: danze con un bastone intorno a un fosso, il bisogno di sbocciare e “aprirsi come fiori di loto” e un invito ispirato ad ascoltare il proprio cuore.

“All I want is the moon upon a stick

Dance around a pit

The darkness is beneath

I can’t kick the habit

Just to feed my fast ballooning head

Listen to your heart”

"Codex" invece mi lascia un po’ perplesso…in sé e per sé è una bella canzone: un Thom Yorke ispiratissimo e un pianoforte “lento e solenne” che accenta le sue parole che invitano a lanciarsi in un lago, “fantasticando” e liberando la propria mente…beh, forse “troppo” bella, questa canzone, perché “troppo” uguale a Pyramid Song (Amnesiac, 2001)! Sono davvero tante le assonanze tra i due brani, forse troppe…e quindi non riesco ad andare oltre i due ascolti…

…E con "Give Up The Ghost" si ritorna alla musica spogliata di tutti gli artifici e le sperimentazioni che hanno reso grandi questo gruppo. La voce del cantante si fa in tre, con la principale accompagnata da due leggermente distorte che fanno da “ritorno”, con una chitarra acustica e probabilmente un semplice battito sulla cassa armonica a dare il tempo. Come suggerisce il testo, il tema è un po’ la resa…nei versi si chiede di non essere feriti mentre si raccoglie quel che resta delle cose più miserabili e povere; nel frattempo, a metà canzone, fa il suo ingresso l’altra chitarra, in linea, ancora una volta, con lo stile degli altri pezzi, contribuendo all’ “apertura” verso il finale del brano.

"Separator" è l’ottava e ultima canzone. Ancora una volta il basso detta i tempi, con una batteria molto essenziale ma dai ritmi precisi (quasi campionata); la chitarra è come un’onda che ci traghetta verso il finale: il viaggio più o meno accennato prima (mia libera interpretazione) sembra concludersi.

è come se stessi cadendo dal letto, dopo un lungo e faticoso sogno…Infine sono libero da tutto il peso che stavo portando”.

Si conclude così questo album, sperando che il titolo “Separator” dato all’ultima traccia esprima l’esigenza di iniziare un nuovo ciclo, fatto di nuove sonorità e ricerche stilistiche, mettendo da parte questo che possiamo individuare in questi ultimi due album.

Personalmente "The King Of Limbs" non mi dispiace, ma non è certo il disco che ascolterei decine e decine di volte senza stancarmene (come è stato per "In Rainbow"s o altri memorabili); forse perché dopo 4 anni non si è andati molto al di là delle scoperte fatte e ci si è limitati a tradurre con quei suoni le nuove ispirazioni sopraggiunte.

PS: spero vi sia piaciuta la recensione; non ne scrivevo una da tantissimo tempo…ho ritrovato questo account e questo sito con vero piacere, dopo averlo abbandonato e dimenticato per quasi 4 anni! Spero di frequentarlo più spesso e magari contribuire di più con altre recensioni…

“Like I’m falling out of bed from a long and weary dream

Finally I’m free of all the weight I’ve been carrying

When I ask you again

Wake me up”

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