Quando giorni fa ho sbirciato sulla pagina dei Raein e in bella vista mi son ritrovato questo artwork nuovo di zecca, che viene a dirti: "guarda, siamo tornati" le mie sinapsi han collegato immediatamente l'immagine catturata in copertina a un passaggio de "Lo Straniero" di Camus. Nello specifico quello "dove davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo". Chiamatelo sesto senso se volete, oppure non chiamatelo proprio in alcun modo, è solo un accostamento partorito dalla mia balorda mente. Gira e rigira si torna qui, si torna su "Salvia", si torna a parlare di Raein e si torna a viver intensamente sei piccoli gioielli incastonati in uno scrigno del nome "Perpetuum"; il quale in materia di eternità e tempo che perennemente batte i suoi rintocchi qualcosa da dire ha. Non solo a livello d'immaginario e lirico (ogni tanto son tentato a buttar nel mezzo un poetico), ma proprio a livelli di fatti. I Raein son eterni, in parole povere. Potrà calar su di loro del silenzio durato quattro anni dall'ultimo full length, ma quando decidono di tornar a metter mano su nuove composizioni il loro battito si sente più vivo che mai. Forte e potente, capace di risvegliare quel vecchio amore nei confronti dello screamo. Insomma, i concerti al Dauntaun con i La Quiete mi han segnato in modo indelebile, capitemi.
L'ermetismo che circonda "Perpetuum" è di quello che ti mette nella difficile posizione del non poter e saper decidere. Non puoi decidere nulla perché ne vieni invischiato e intrappolato senza troppe alternative; è lì che ti attende al varco, ti fissa e non ti coglie per nulla impreparato perché tu dai Raein sai esattamente cosa aspettarti, eppure loro lo fanno ogni volta così dannatamente bene. In poche parole, poche note e pochi minuti, tutto ciò che c'è da esprimere, loro lo fanno, togliendo ogni ridondanza, chiudendosi nel loro guscio che pian piano rischia di crollar sotto il peso del tempo. Un ciclico andirivieni che preme forte contro le pareti di un muro fatto di illusorie certezze, provocando così quelle crepe essenziali per l'alone nostalgico e romanticamente malinconico dei Raein. Su questo i nostri han pochi rivali, inutile discuterne. In apertura dicevo che per l'appunto non è facile manco il saper decidere. Già, sapere che dopo neanche venti minuti tutto si possa chiudere, come un rapido passaggio che colpisce lo sguardo, lo rapisce per poi svanire evanescente e non tornar più. "Perpetuum" per fortuna lo potete rimetter su fra vinili e download gratuiti, quindi non si pone l'annoso problema, ma quando nell'anonimia (ah-ha) di "Senza Titolo" i Raein si dissolvono sai che un senso di vuoto ti pervaderà, ma non è un vuoto del tipo "ho buttato via tempo, potevo riempirli completando il puzzle della Ravensburger in soffitta", piuttosto quello di saper che tutto ciò che hai ascoltato è durato maledettamente poco e di dosi di Raeinizina ne vorresti molte di più.
Quindi non resta che pigiare di nuovo il tasto play e ripartire per un altro trip, che vive di melodie e cristalli di fulminee esplosioni. Giungono possenti però quelle ondate eteree e sognanti, che rimandano proprio a quel cielo in copertina, dove tutto si può illuminare come spegnere gelidamente e aridamente, aspettando un qualcosa che non verrà, alla "Giovanni Drogo". Oh, riferimento puramente casuale. Quello che rimane di Perpetuum è la raffinatezza con cui gli scorci crepuscolari dei Raein si costruiscono, un pathos che si rincorre fra le insenature più fragili e quelle più rocciose in cui le declamazioni cantate trovano la loro natura più disperata. Ci sono tanti cambiamenti qui dentro, in una sintesi che meno sintesi di così non si può. Scorrono i brani, muta la forma e si è al cospetto di una personalità eterogenea dove però ogni tassello s'incastra perfettamente l'un con l'altro. Sommessamente rinchiusi nella brevità dei cambi di direzione, con uno sguardo agli istanti più dilatati che bloccano e lasciano lì, immobili ad ascoltare il vento di echi lontani e in cui le urla si trasformano in sussurri e cantilene sbiadite. Questo è "Perpetuum" e questo è un signor ritorno, di quelli con la R maiuscola, dove forse è meglio limitarsi a dir così e sperar solo che la linfa vitale dei Raein non si esaurisca mai.
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