"We will raise the dead
We will raise the dead"


"Faremo risorgere i morti", l'obiettivo che muove la protagonista del piccolo capolavoro del regista islandese Ragnar Bragason può essere spiegato prendendo in prestito il refrain del capolavoro "Raise the dead" dei Venom, gruppo heavy-metal britannico che tra i primi ha gettato le fondamenta per lo sviluppo più estremo di un genere (il black metal) che ha seminato musica ma anche controversie nei paesi nordici soprattutto negli anni Novanta (vedi Burzum e Black Metal Inner Circle).

L'attacco è forte, scioccante, dritto alla stomaco, proprio come un riff metal. Hera (Thora Bjorg Helga) richiama il fratello Baldur che sta guidando il trattore nel campo di famiglia a rientrare in casa per la cena. Il fratello, dopo un medio dei più ovvi fatti alle sorelle più piccole, sobbalza sul sedile, cade nella trebbiatrice e muore violentemente. Sull'erba rimane solo la lunga chioma strappata alla testa del ragazzo dal trattore. Un inizio tachicardico che sembra strizzare l'occhio verso il genere horror che però, nonostante il tema del film si possa prestare con banalità a questo, Ragnar Bragason riesce magnificamente ad evitare con maestria.

Qui la storia vera ha inizio. Dallo strazio per la perdita del figlio i genitori decidono di abbandonarsi alla fede in Dio. La fede dei genitori di Hera ricorda molto quella presente nel Pranzo di Babette (1987, Gabriel Axel), anch’esso tra l’altro ambientato in un paese nordico come quello dei fiordi danesi: una fede sterile, non capace di dare una vera prospettiva di felicità ed essere compagna nel dolore.
Anche Hera diviene una fedelissima: una adepta del metal. Suo fratello diviene un vero e proprio idolo la cui memoria è da onorare con uno stile di vita tutto nuovo tutto borchie, chiodi e vestiti blackster. La stessa camera dove dormiva Baldur, tappezzata di poster dei Judas Priest, Annihilator e tanti cari amici, diventa un mausoleo nel quale anche i genitori spesso si recano con l’accuratezza di non toccare nulla. Devota al metal, Hera imbraccia quindi una Gibson Flying V e inizia a suonare producendo e registrando canzoni in proprio, rinchiudendosi nella camera e facendo vibrare le mura di casa mentre i genitori sono in chiesa.

Il rapporto genitori-figlia si deteriora velocemente in una escalation di affronti prima verso la famiglia, poi coinvolgendo anche il paese e la comunità. Qui Ragnar Bragason dà il meglio di sé dietro la macchina da presa. Le riprese, spesso campi lunghi che inquadrano i campi freddi dell'Islanda e la figura sola di Hera, riescono a comunicare tutta la solitudine della protagonista senza il fratello più grande. Forse la scena migliore si raggiunge con il tributo reso di fronte alla tomba del fratello da Hera che, con amplificatore e chitarra, suona di fronte alla lapide una canzone che aveva scritto apposta per Baldur. Personaggio magnifico anche il prete che arriva al paese: prelato fuori dal comune che condivide la passione per il metal tanto da sfoggiare una grande consocenza del genere e un tatuaggio degli Iron Maiden sul braccio. Forse proprio lui è l'unico che riesce a capire il dolore di Hera e, nonostante un inizio traumatico dell'amicizia con lei, a farle capire che per volersi bene e ritornare a vivere non deve abbandonare la passione per la musica più dura e cruda.

La mossa vincente di Metalhead, oltre agli scenari islandesi di una bellezza stordente è il suo tratteggiare delicatamente un personaggio bello e ammaliante come quello della giovane Hera, saper descrivere con il giusto il suo dolore e la sua volontà di superare la morte dell'amatissimo fratello, della cui morte si sente responsabile. Per questo quando Hera brucia la chiesa lo spettatore non si ritrova scioccato, ma in qualche modo è portato a guardare con tenerezza la ragazza, in fondo capendola. La svolta del film sta proprio nell'arrivo dell'amico prete "metallaro".

Da qui inzia l'ultima parte del film, che pare assumere più i tratti della commedia. Hera spia i propri genitori in un attimo di felicità vera e comprende che anche per lei è possibile riiniziare una nuova vita dove la tristezza per la morte del fratello non ha l'ultima parola su tutto. Forse eccessiva invece la scena in cui, come a segnare anche la riconciliazione con la comunità, tutti si prestano a perdonare e ricostruire insieme la chiesa insieme all'incendiaria,

Una pellicola che merita quindi, nonostante non sia stata doppiata per l'Italia, e che riesce a strappare anche sorrisi; imperdibile per gli amanti del genere per la colonna sonora di tutto rispetto (Megadeth, Venom, Riot …) e per il lavoro del regista che, fuori da ogni possibilità immaginabile, riesce a tratteggiare un personaggio come quello di Hera facendola cantare in growl e nello stesso tempo rendendola amabile e fragile.
La forza di questo piccolo film è anche quella di non scadere nello scontato confronto tra il mondo dei giovani e quello degli adulti che non riescono a comprenderli.Sono diversi, forse anche poco compatibili tra di loro, ma possono convivere pacificamente nella stessa galassia. Anzi, possono, come succede nella scena finale, ballare insieme sulle chitarre di Simphony of Destruction.

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