Uno dei massimi meriti che va riconosciuto ai londinesi Japan e al loro carismatico leader David Sylvian, è quello di essere stati i grandi cantori occidentali dell'Estremo Oriente, e di aver prodotto con una sorprendente originalità e spirito estetico brani musicali che toccano il sublime dell'arte.

E mentre i Duran Duran agli albori degli anni ‘80 iniziavano a produrre i primi vagiti nella marmellata commerciale mascherata da "new wave" (potrebbe esservi eccezione per il primo album), i Japan brillavano già nel firmamento del new romantic, come sarebbe stato definito di li a poco il filone più sentimentale del sopracitato movimento musicale.

Secondo il parere di chi scrive, "Gentlemen Take Polaroids", rappresenta non solo il disco più bello, complesso e maturo del gruppo, ma anche uno dei momenti più elevati dell'intera new wave. In questo disco, si riesce a comprendere pienamente la peculiarità del sound Japan, la fusione dell'elettronica d'avanguardia (grazie al consistente bagaglio d'esperienza acquisito da geni come Brian Eno e David Bowie) con un approccio, vicino alla "world music", al sapore e alla cultura nipponica. E se David Sylvian è noto per avere una delle voci più particolari di quegli anni, nei testi di "Gentlemen Take Polaroids" già si afferma come il grande cantautore che diventerà a pieno titolo dopo lo scioglimento del gruppo.

Il disco si apre con una title-track che lascia senza fiato: batteria secca e dolci e melanconici suoni di synth che coinvolgono immediatamente chi ascolta nell'atmosfera orientale, e la voce magnetica e spettrale di Sylvian che domina (quasi a coprire un sottofondo musicale) e canta dell'amore immediato ed innocente di un uomo... ma non un uomo qualsiasi. Sylvian fa infatti chiaro riferimento ai gentiluomini,ai dandy post-moderni,volendosi collocare fra di essi con un ostentato spirito eccentrico ma elegante. E come se utilizzasse una polaroid, il dandy riesce ad immortalare e fissare nel tempo, in un istante che dura un eternità, un amore improvviso e fugace, conservandone il ricordo nel cuore. Se un testo di tale bellezza proviene da un Sylvian decisamente ispirato, la struttura musicale non deve certo essere da meno; ed è per questo che giunge direttamente dal Giappone uno dei maestri di sperimentazione e world music,alias Ryuichi Sakamoto della "YMO", ad arricchire con la sua magia un album, che senza un supporto tanto importante non avrebbe certamente avuto la stessa attrazione.

E ad una hit magnifica, ingiustamente sottovalutata dalle charts di casa UK, segue uno "Swing", scandito da fantastici controtempi, fiati sintetici e suoni dal gusto più tribale; un brano sicuramente marcato dal tradizionale sound spectral-dance dei Japan, paragonabile a quello che si riscontra in "Quiet Life". E allo stesso profilo appartiene la più lenta ed effimera "My new career", con una voce di Sylvian sempre straziante e metallica ma travolgente, che si adagia e si alterna ad intermezzi di fiati e contrabbassi (si intende che siamo sempre nel regno del synth).

Ma in "GTP" c'è spazio anche per le sperimentazioni strumentali di Barbieri e Dean: dagli struggenti paesaggi arsi e devastati di "Burning Bridges", ai due brani inseriti nel restyle 2003 dell'album, ovvero "The Experience Of Swimming" e "The Width Of A Room", veri e propri gioielli della rarefazione e dell'effimero. Momenti di silenzio da gustare nella propria stanza.

E se anche l'altra grande hit dell'album, "Methods Of Dance", pur presentando una fantastica parte finale in cui alla voce di Sylvian si aggiunge quella di una sensuale e voluttuosa donna, che rievoca coralizzazioni giapponesi, non presenta grande innovazione, "Ain't That Peculiar" è invece un brano fortemente impregnato di tratti di world music che sono una "quasi" novità nel panorama musicale Japan e non solo. Il brano si impernia infatti su una batteria molto marcata ma dal suono decisamente naturale e primitivo, una spirale martellante di suoni sui quali si rincorre la voce di Sylvian. Ma il meglio deve ancora essere svelato.

Il meglio giunge proprio quasi alla fine dell'intero lavoro, che invece di spegnersi, rinvigorisce con un brano che considero uno dei più innovativi dell'intero decennio, alias "Taking Island In Africa", concepita come una perla che brilla sul resto dalla sapiente penna di Sylvian e Sakamoto. Un brano indiscutibile sia per struttura musicale che per testo, e che presenta un'anima totalmente votata alla world music (metamorfosi completata) già dallo stesso titolo. E per questo non ha senso commentare in modo peculiare un brano che con un così ampio raggio concettuale, ogni ascoltatore potrebbe recepire in maniera differente. All'ascoltatore dunque l'ardua sentenza.

Certamente non è da meno, quella che qualcuno ha considerato la migliore "ballad" degli anni 80 e forse anche oltre, ovvero "Nightporter". Un brano che più classico non si può, ma che proprio nella sua semplicità strutturale lascia spazio ad un testo che lascia chi lo legge in una profonda riflessione sulla sofferenza del cuore, per una storia d'amore che va vissuta nel segreto e nel pericolo di essere scoperti. Il portiere di notte è guardiano e punto di svolta di questa relazione, essendo al confine fra l'attesa e il piacere. Se il tutto può sembrare piuttosto mondano, fantasioso e poco ortodosso, il testo è mascherato con magistrale esperienza sottolineando che l'amarsi con una profonda passione è cosa più importante del seguire un codice etico. Torna ancora con molta chiarezza lo spirito dandy di Sylvian.

Un disco che rappresenta un esempio di come negli anni 80, il romanticismo fosse tutt'altro che una cosa morta e sepolta, e che esprime con un forte spirito poetico la grande capacità e i grandi sentimenti di un cantautore eccentrico ma geniale come David Sylvian.

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