Dopo il 1972 l'ambiente Progressive lentamente e ineluttabilmente sfiorisce; ma, come gli amanti del genere sapranno, questo movimento è stato accolto a braccia aperte non solo dai principali paesi Europei: Australia e Canada sono state di gran lunga culle di ottime band, che , ahimè, sono rimaste in disparte nonostante la magnificenza dei rispettivi lavori… Beh, una di queste, permettetemi, "sconosciute" band sono i Rainbow Theatre. Inspiegabilmente sono rimasti sconosciuti ai più, fino a pochi anni fa, quando gli allora rari Lp furono ristampati illegalmente da un'etichetta giapponese, cosa che ha contribuito a rendere noto il loro nome presso un certo numero di appassionati. Da questa informazione potrete capire che reperire l'originale Lp sia un'impresa degna del più fortunato Eracle, penso che dovrete accontentarvi di un semplice CD…

Questa band australiana si forma nel 1973 attorno al carismatico e geniale leader Julian Browning, eccellente chitarrista e ottimo addetto al Mellotron e alle tastiere. Convocati il superbo Freg Mckinnon al basso, il batterista Graeme Carter, il cantante Marty Rose e molti altri eccellenti musicisti agli ottoni, l'ambizioso frontman Browning partorisce la sua creatura più riuscita, i Rainbow Theatre. Per un totale di circa 16 elementi effettivi, dopo essersi fatto le ossa nei vari teatri e nei studi di Melbourne e dintorni, il gruppo debutta discograficamente solo nel 1975, con l'ambiziosissimo lavoro "The Armada".
Sicuramente un disco da molte sfaccettature: Browning è un grande amante di classica (specialmente di Wagner, Mahler e Stravinsky), opera e jazz. Altra fonte di ispirazione per il gruppo sono stati sicuramente i primi King Crimson (specialmente quelli di Lizard e di Islands), come testimonia la ripresa del Bolero di Ravel. L'aggiunta dei cori del Victorian Opera Company Choir rende il lavoro ancora più maestoso e epico: questa è una delle più ambiziose band di tutta la storia della musica contemporanea.

Dopo un anno il gruppo propone il suo lavoro più completo, tangente la perfezione : "Fantasy of Horses".
Browning ha aggiustato la formazione, includendo una completa sezione di archi. Non è più presente la pomposa Victorian Opera Company e al suo posto il tenore Keith Hoban canta drammaticamente, quasi recitando, le poesie del Sommo Browning. Il lavoro consta di quattro pezzi: due suite e due strumentali; le influenze sono più o meno le stesse di "Armada": l'album sembra un connubio tra i più originali King Crimson e i più fantasiosi Mahavishnu Orchestra, nonostante il tutto sia presentato come un'incredibile e maestosa (e forse , per alcuni, prolissa) Opera teatrale. Sicuramente l'introduzione del primo pezzo "Rebecca" ci fornisce subito il menù del disco: il pezzo è infatti uno splendido strumentale di pochi ma maestoso minuti. Una sorta di free jazz sulle note di regali ottoni e di un troneggiante Mellotron. Il Mellotron, infatti, è il reale protagonista del brano, ed è inseguito da un perfetto utilizzo di ottoni; la batteria di Carter è quasi divina e il basso di Mckinnon può essere paragonato solo al migliore Pastorius.
Non vorrei cadere nel patetico, ma penso che per tecnica questo gruppo non sia proprio secondo a nessuno.

Il secondo è un drammatico e lungo pezzo il cui nome è "The Dancer". E' Introdotto dall' organo di Browning e dai soliti e immancabili ottoni tutti; per la prima volta si ha la possibilità di ascoltare il prezioso canto del tenore Hoban recitare cantando i testi di un ispiratissimo Browning. La sezione centrale del pezzo è un complicatissimo intreccio tra i molteplici fiati: ancora una volta il tutto è condotto da un pazzesco basso, infiammato e suonato magistralmente. Hoban riprende lentamente il suo evocativo canto ripreso da clarinetto e archi fino al gran finale del pezzo, sembra quasi di ascoltare Islands dei Kc, se non qualcosa di meglio. Passiamo al pezzo successivo, "Caption for the city night life", un breve e incendiatissimo free jazz strumentale di quattro minuti. Non so come esprimere quanta perfezione ci sia in questo pezzo, è praticamente irripetibile: la tecnica dei musicisti è a dir poco sovrumana, il basso è mostruosamente perfetto e l'assolo di batteria è degno forse del solo Billy Cobham. Segue la meravigliosa e purtroppo congedante "Fantasy of Horses", lunga e raffinata suite di 16 minuti. Quello che può sembrare il canto di un cigno morente è invece la legiadra voce di Hoban che ci racconta la storia dei cavalli australiani, prede dello sfruttamento umano che li rese schiavi e li portò lontani dalla loro selvaggia e libera natura.
Sicuramente è il pezzo più ambizioso dell'album e Browning ha davvero puntato tutto nella sua composizione, ma i frutti di tale lavoro sono pienamente carpibili e la composizione ha tutte le carte in tavola per essere considerata uno dei classici del Prog. Il pezzo è un susseguirsi di momenti diversi: picchi strumentali si diradano lentamente fino ad una nuovo ed emozionante sezione più rilassante sostenuta dalla gran voce di Hoban, per poi ripartire selvaggi e fieri, come i liberi cavalli.

Dopo aver sciolto i Rainbow Theatre, il leader Browning studiò composizione e direzione Prof. Keith Humble della Latrobe University e compose diversi progetti. I fortunati possessori della ristampa del Cd di "Fantasy of Horses" potranno ascoltare la bonus track "Eagle odissey": si tratta di un movimento della sua Terza Sinfonia eseguito dalla Melbourne Symphony Orchestra. Traendo le conclusioni consiglio il disco a tutti coloro che vogliono stupirsi, a tutti gli amanti del raffinato, dei King Crimson e delle soluzioni musicali più complesse e maestose.

Unico neo del disco: una troppa ricerca della perfezione che è funzionale ad una leggera prolissità (simile in campo cinematografico ai più grandi Kolossal). E inoltre pongo la seguente domanda, forse pessimisticamente retorica e patetica: come mai gruppi come questo vengono posti nel dimenticatoio e sedicenti "artisti" incassano palate di soldi con dischi stupidamente commerciali ???
Fu la loro vera Gloria? Ai posteri l'ardua sentenza…

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