Siamo nel 1982, anno di uscita del secondo capitolo della trilogia “Oriented Rock” dei Rainbow, Straight Between The Eyes, che segna ancora di più la decisa svolta a favore delle masse intrapresa dal sergente di ferro Ritchie Blackmore. La formazione – ovviamente – è ancora cambiata, anche se solo per un quarto: al posto del veterano Don Airey alla tastiere siede l’esordiente David Rosenthal, mentre il resto è confermato, con la certezza Roger Glover al basso, l’americano Joe Lynn Turner come vocalist e Bobby Rondinelli dietro le pelli.

Ormai catturato dal mercato americano, Ritchie decide di continuare a cavalcare l’onda del successo d’oltreoceano e tra un tour e l’altro si trasferisce in Canada per registrare il disco in questione; una certa frettolosità traspare dalla cura non eccelsa per la registrazione - soprattutto per quanto riguarda alcune scelte sul missaggio –  ma ciononostante la qualità dei musicisti è indubbia e quello che viene alla luce rispecchia perfettamente l’atmosfera che si respira all’interno dei Rainbow in quel periodo.

Un’atmosfera un po’ caotica, per la verità, dove la fortissima personalità dell’Uomo in Nero mette in riga i suoi sottoposti e li pone ormai completamente in ombra. Infatti la scarsa motivazione si fa discretamente sentire, e sommata alla conclamata caduta alle avances discografiche, la dèbacle è dietro l’angolo. Eppure qualcosa di buono salta subito fuori all’ascolto. Death Alley Driver, contraddistinta dalla ritmica molto veloce e un Blackmore sugli scudi, sembra indirizzare l’album nella giusta direzione: marchio di fabbrica l’indiavolato assolo, in cui Ritchie sembra quasi prendersi gioco (ma non è una novità) dell’ascoltatore con scale ascendenti e discendenti, per poi sfociare come un imbuto nel consueto e concentratissimo pot-pourri di note gustosamente distorte al limite della cacofonia; si fa ben sentire il ventenne Rosenthal alle tastiere, ed il tutto è sicuramente molto trascinante e divertente. Ma ben presto le scintille accese con il pezzo di apertura si spengono proseguendo nell’ascolto: la successiva Stone Cold mette in luce il lato melodico della voce Joe Lynn Turner, eppure la scelta di alcune linee vocali non convince appieno; Bring on The Night aumenta nuovamente la velocità di crociera con un buon assolo di Ritchie e risaltando l’ottimo ritmo di Rondinelli, bravo nel portamento ma carente, ahimè, della personalità espressa solo fino ad un anno prima. Tite Squeeze, poco riuscita e decisamente banale, si avvicina molto a quello che può essere considerato un riempitivo, ma la ballata Tearin' Out My Heart recupera in parte questa caduta trovando ancora una volta come protagonista la riflessiva e melodica Fender di Mr. Blackmore.

A mo’ di montagne russe, la seconda parte del disco vede il ritmo alzarsi nuovamente, ma soffre di una pesante virata radiofonica con la coppia Rock Fever e Power (in quest’ultima ci si chiede se il riff è davvero opera di Blackmore e non di un turnista che passava lì per caso!). Meglio MISS Mistreated, in cui il Nostro ritrova un po’ di verve nel finale – ben accompagnato da Rosenthal – e soprattutto la conclusiva Eyes Of Fire, con un ottimo Roger Glover e ancora Blackmore in perfetta forma, che dialoga con melodie vagamente orientali e divaga con estrema classe su e giù in personalissime (e a lui solo note) scale e fraseggi, distorsioni e acuti di lamento, guaìti e ruggiti elettrici… decisamente il pezzo migliore e più convincente.

Complessivamente ci troviamo di fronte a un buon disco, non omogeneo ma comunque ben suonato, che pecca di fretta e furia nella produzione e nella messa in posa delle idee; il tocco delizioso e l’abilità di Blackmore ci sono sempre, ma è logico che l’impronta smaccatamente AOR spegne non poco l’espressività e la genialità di questa grande band.

E' meritevole di essere ascoltato per comprendere appieno il percorso musicale dei Rainbow: dall’Olimpo del Rock al Limbo delle Onde FM, ma la classe di uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi rimane irraggiungibile.

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