Ralph Towner è uno dei grandi musicisti del nostro tempo.

 

Innanzitutto un grande compositore, ma anche un ottimo polistrumentista: pianoforte, tromba, corno francese, e ovviamente la chitarra classica, suo principale veicolo espressivo, sono sempre stati pane per i suoi denti.

 

Stabilitosi a New York nel '69, cominciò molto presto a suonare nei Winter Consort di Paul Winter, esperienza fondamentale che lo portò ad instaurare un importantissimo sodalizio artistico con gli altri membri Collin Walcott, Glenn Moore e Paul McCandless, insieme ai quali diede vita agli Oregon.

 

La musica di questo versatile gruppo, dotata di una propria sonorità immediatamente riconoscibile, spaziava tra i generi, orientandosi prevalentemente su un folk-jazz melodico godibilissimo e maturo, infelicemente e sommariamente descritto da alcuni come "world music" e "new age", improvvisazioni libere e un gran lavoro di texture melodico-percussive. E la chitarra classica di Towner fu sempre una delle voci guida del gruppo, lasciando un'impronta indelebile sul sound collettivo, e regalando agli amanti della musica un contesto nuovo nel quale avvantaggiarsi dei suoni di una chitarra non elettrica.

 

Parallelamente alla sua decennale patecipazione a questo magnifico gruppo, Towner cominciò fin dal '72 ad incidere una serie di solchi per la ECM, benemerita etichetta monacense che in quel decennio era una vera e propria fucina di talenti. La sua produzione solistica a tutt'oggi è davvero ragguardevole, ed ha sempre mantenuto uno standard qualitativo elevato.

 

Questo "Solstice" del '74 è uno dei primi esempi di questa collaborazione (nonché uno dei migliori dischi in assoluto della sua vasta discografia), ed è perfetta rappresentazione dell'ormai spesso nominato ECM-stile, ovvero uno stile sonoro in cui spaziosità, timbro, dinamica, riverberi si fanno protagonisti.

 

Ad accompagnare Towner in quest'impresa musicale troviamo fior fiori di musicisti: un giovanissimo Jan Garbarek, "inventore" all'epoca di un suono inedito e meraviglioso al sax tenore, stracopiato da chiunque; un "risonante" Eberhard Weber al violoncello e al contrabbasso, altro nome assai presente nelle session di quel decennio, e un "polimorfo" Jon Christensen alla batteria, già membro stabile del quartetto europeo di Keith Jarrett.

 

La musica di quest'album presenta diverse analogie con quella degli Oregon, già dalla strumentazione e dallo stile compositivo (specchio dell'indole di Towner), il secondo specialmente manifesto nell'ambiguità di un fatato melodismo puntualmente turbato da veli di inquietudine. Quelli che ad orecchie poco avvezze potrebbero talvolta sembrare esotismi ed orientalismi, altro non sono che leggere ed automatiche deviazioni da linee ed armonie convenzionali. Non bisogna trascurare il fatto che la musica di Towner (e degli Oregon), pur non rappresentando un punto di rottura con il passato, è stata per lo meno un nuovo capitolo della musica, e il rischio nel caso di voler giudicare queste "rivoluzioni silenziose" è talvolta quello della banalizzazione.

 

Le composizioni, di ottima qualità, sono assai varie per mood, ritmo, interventi strumentali, e spiccano su tutte l'iniziale "Oceanus", affascinante e di largo respiro, l'aliena surrealità di "Visitation?", e il fantastico groove da funky sghembo di "Piscean Dreams" nella quale protagonista assoluto è uno strepitoso Jon Christensen.

 

In tutto il disco le dita magiche di Towner sfiorano le corde (o i tasti del piano) con maestria e delicatezza, il sax tenore o soprano (o il flauto) di Garbarek è al massimo dell'espressività e il suono talvolta ridondante di Weber ben si integra con le armonie di sottofondo dei sintetizzatori, la cui presenza indubbiamente può far storcere il naso a molti puristi (me compreso), ma il cui uso intelligente non li rende particolarmente intrusivi. In ultimo, Jon Christensen merita un "magna cum laude" per la sua grande performance: senza mai suonarsi addosso o alzare troppo la voce, i suoi accompagnamenti sono sempre funzionali a garantire la valorizzazione musicale della composizione, nonché a donare impeto e trasporto nei momenti più concitati.

 

Una copertina un po' troppo anonima e minimalista, tipica del gusto grafico ECM, rende sicuramente poca giustizia alla ricchezza di suoni presenti nel cd, per cui nessuno si faccia ingannare!

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