Cinema della crisi. "Gangs of New York" e "Il petroliere" andavano indietro direttamente alla nascita del sogno americano, "Margin Call" affrontava il problema soffermandosi sulla finanza, idem "The Wolf of Wall Street" (anche se con toni più da commedia). "Cosmopolis" di David Cronenberg puntava direttamente la pistola alla testa del capitalismo, scavando nel futuro della nostra società, mentre il recente "1981: Indagine a New York" era il resoconto dell'imprenditoria in un altro momento nero per l'economia americana. "99 Homes" del regista Ramin Bahrani, di origini iraniane, attinge qua e là e diventa un altro capitolo del racconto cinematografico sulla grande crisi che perdura ormai da anni.
La realtà ricade inevitabilmente sul cinema e gli effetti della recessione, la povertà diffusa, la crisi finanziaria, sono solo alcuni dei tempi che sono entrati prepotentemente nell'agenda filmica dell'ultimo periodo. 99 Homes, uscito negli States nel 2015 è un film che si inserisce in questo nuovo "filone".
Ormai al suo settimo lungometraggio Bahrani ha piena consapevolezza dei suoi mezzi e porta sul grande schermo un'opera che lavora su due livelli: da una parte come vero e proprio "reportage" sull'ambiente immobiliare e bancario che ha lasciato migliaia di americani in mezzo alla strada e dall'altro raccontando la storia di Dennis (Andrew Garfield) che vive sulla sua pelle lo sfratto e l'ingiustizia.
Dal punto di vista "di inchiesta" il film funziona bene e spiega il funzionamento di quel giochino perverso con cui le banche, grazie alla connivenza delle imprese immobiliari, costruiscono le proprie fortune truffando il governo e sfrattando senza problemi famiglie intere. Costruire ricchezza, non importa come. "Soltanto uno su cento sale sull'Arca" dice l'imprenditore Rick Carver, interpretato da un Michael Shannon di nuovo straordinario (e candidato al Golden Globe). Il suo Rick è l'affarista che specula sul dolore altrui, che inganna la legge ma ne è un rappresentante, è colui che ha capito che "non è importante vendere case, ma possedere case".
Sull'altro versante, quello prettamente narrativo, l'opera di Bahrani funziona decisamente meno e l'improbabile "scalata" in alto di Dennis, sotto la tutela del prima odiato Rick, diventa una scelta che sostanzialmente fa intuire tutto allo spettatore. La storia di Dennis si trasforma in quella del giovane "self made man" che sulla propria pelle scoprirà le ferite morali dell'arrivismo sociale, ormai diventato uno di quelli pronti a salire sull'Arca. Ma il finale è inevitabilmente scontato.
Bahrani sceglie di girare con un registro quasi documentaristico e l'utilizzo reiterato della camera a mano ne è un sintomo evidente. Il realismo viene però a perdersi quando la storia decide di puntare tutto sul sentimentalismo fine a se stesso. E' infatti chiaro che Bahrani è totalmente schierato politicamente a vantaggio della coerenza ma a discapito del racconto, che diventa univoco e a tratti banale.
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