Cosa succederebbe se Jack White fosse messo a comandare la furia di un muro di sedici amplificatori da 200 Watt al massimo della loro potenza e la sua compagna d'avventura Meg fosse in grado realmente di suonare la batteria? In fuga (all'uscita di questo album, temporaneamente, di lì a poco in maniera definitiva) dai Blue Cheer di "New! Improved! Blue Cheer", Randy Holden ci dà la risposta in questo album del 1970, creato col materiale più primordiale e magmatico del rock, strabordante di energia come un giovane universo abitato da luminosissime stelle di Popolazione II (di qui forse il cosmico e alquanto enigmatico titolo?).
Come ci dice "Guitar Song", brano posto in apertura della raccolta, "Population II" è una dichiarazione viscerale d'amore da parte di un chitarrista per il suono della sua chitarra, che lancia in riff monolitici ed assoli assassini. L'inizio affidato a sfumature fra il blues e il jazz si evolve in un brano che ha al suo interno già tutti i semi del doom e dello stoner, memore di quanto Holden aveva già fatto con i Blue Cheer, ma anche aperto ad un evoluzione più oscura e devastante, power-chords e riff ripetuti ciclicamente a cui si alternano parti soliste dove la chitarra iper-amplificata si lamenta alimentata del suo stesso feed-back e su cui si distende il vocalismo a volte selvaggio, a volte in trance (come nelle parti parlate, non lontane da certe cose di Hendrix) dello stesso chitarrista. Holden diventa un tutt'uno con il suono che sprigiona, pesantemente ed agilmente ritmato dalla batteria di Chris Lockheed, trascinandoci in un vortice di blues mutante, proto-metal psichedelico, vero e proprio Santo Graal di tutti i suonatori di Air Guitar del mondo.
L'atmosfera dell'album è, così, segnata, rendendo a dir la verità il lavoro alla lunga un po' monocorde. Eppure non si riesce proprio a non esaltarsi quando attaccano i riff dirompenti e sabbathici di "Fruits & Icebergs" (sic!), rielaborazione di un brano scritto da Holden per i Blue Cheers e già apparso in "New! Improved...", a cui si sommano i lamenti in sustain alla Jeff Beck e veri e propri fischi di chitarra in un brano che, ascoltato a tutto volume, erode poco a poco costante ed terribilmente efficace, e a cui si ricollega anche il successivo "Between Time/Fruits & Icebergs (Conclusion)", perso fra danze tribali, i Traffic di "Give Me Some Loving", i Rolling Stones di "Jumping Jack Flash" e assoli che sembrano permeare e far vibrare ogni singola molecola dell'aria stessa che si respira. "Blue My Mind" si presenta come una versione rallentata e potenziata di "Immigrant Song" dei Led Zeppelin, magari con liriche banali che però perdono di significato davanti all'affiatamento fra chitarra e batteria (se vi capita di vedere l'immagine interna che animava la vecchia copertina gatefold dell'album, con Holden e Lockheed sovrastati dai leggendari amplificatori del primo, si ha l'idea di ascoltare proprio questo brano), mentra il finale è affidato alla lunga maratona di "Keeper of My Flame", dieci minuti di durissimi riff garage/west-coast, reminescenze quasi nativo-nativo americane, durezze alla Steppenwolf meno accelerati, passaggi di doppia cassa, armonici fatti fischiare dal feedback, deliri vocali in cui Holden sembra trasformare la propria laringe nella propria chitarra e tre soffertissimi minuti finali dove tutto si rallenta e si estremizza.
Come le stelle di Popolazione II, anche Holden svolge con questo lavoro la sua parte nel sintetizzare i propri elementi dei metalli pesanti, creando un suono ancora oggi ambitissimo, e sotto molti punti di vista ineguagliato. Trovate assolutamente il modo di farvi trascinare dalle derive di questo poderoso Big-Bang...
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