Randy Newman è senz’altro un cantautore fuori dagli schemi: ha sempre avuto una preparazione musicale decisamente superiore alla media dei suoi colleghi cantautori, ha spesso messo in dubbio la centralità della sua attività cantautorale dedicandosi spesso a colonne sonore e musiche per il teatro; in sostanza, è davvero un artista per cui, senza retorica, la definizione “cantautore” è molto riduttiva. E lo dimostra particolarmente negli anni ‘90, lasciando il suo pubblico a secco di materiale originale per ben 12 anni, fatta eccezione per una rilettura teatrale del Faust e per una miriade di colonne sonore.

Ed eccolo quindi riapparire sul finire del secolo, nel 1999, con Bad Love, disco che lui stesso annovera fra i migliori in assoluto della sua carriera. E dal punto di vista tecnico non possiamo dargli torto, perché è un disco indubbiamente ben suonato, arrangiato con grande gusto e soprattutto ben scritto. Tuttavia in più punti sembra di sentire un Randy Newman che ha trovato la sua nuova dimensione nel ripetere la sua personale ricetta per la buona canzone, per il buon disco. Niente di male, per carità, ma l’impressione a volte è di essere davanti a cloni quasi perfetti di altri suoi brani degli anni ‘70: cambia qualche accordo, il canovaccio cambia leggermente, il testo colpisce dove deve colpire, ma alla fine il giochino noi lo conosciamo già. Non stupisce infatti che i brani più centrati e riusciti del disco siano proprio quelli che nascono da un sentire e da un vissuto recente di Newman: e così My Country è una critica accorata ed efficace alla società americana degli anni ‘90, annichilita dalla televisione ma che da qualche parte conserva ancora un’anima e uno spirito comune; così Everytime it rains e I miss you sono delle ballate sincere e autobiografiche, scritte dopo la separazione dalla prima moglie. E allo stesso modo è facile capire quando Newman sta cantando quello che sostanzialmente ha già cantato vent’anni prima, ma con una convinzione e un’urgenza evidentemente non replicabili a comando.

Così come i dischi successivi, che ad oggi sono Harps and Angels e Dark Matter, Bad Love è un buon disco di maniera, illuminato da due o tre lampi in cui Newman ci ricorda che, quando crede davvero in quello che canta, è capace di raccontare la sua vita e quella degli altri con un’originalità e una freschezza che ha pochi eguali nel panorama cantautorale americano.

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