Fra le indiscusse rivelazioni musicali dell'ultimo decennio. Un gruppo che sono felice di sdoganare su DeBaser, considerata l'assoluta qualità (e originalità) della proposta; proposta complessa, che abbraccia più generi e più culture, e che soprattutto rappresenta l'ennesima dimostrazione di come, nel terzo millennio, rimanga molto da dire in termini di Fusion jazzistica (superfluo ribadire che il termine "Fusion" è impiegato nella sua accezione etimologica, non in riferimento ad un genere preciso). Per chi ha la fantasia di intuirli (e il coraggio e la bravura di percorrerli, naturalmente), esistono ancora tanti sentieri inesplorati, territori "vergini" che solo l'intelletto di musicisti "superiori" è capace di disvelare. Non è vero che, oggi, il tempo dei Geni in musica è ormai concluso: questi Rashanim lo cofermano, se in tanti si sono scomodati per loro (non basta il nome di John Zorn...?), e se di loro si è scritto: "immaginate di invitare Dick Dale a suonare a un Bar Mitzvah, o ad un qualsivoglia altro rito ebraico"; situazione fantasiosa, estremamente vaga oltreché difficile, effettivamente, da immaginare; eppure rende un'idea adeguata (perfetta, direi anzi) delle sanguigne, viscerali sonorità di questo terzetto, che proprio dalla millenaria tradizione d'Israele trae il grosso della propria ispirazione.

Altro non sono, i Rashanim, che la creatura di un grande solista della chitarra: Jon Madof, ebreo newyorkese in possesso di un enciclopedico sapere musicale e di un piglio esecutivo libero, ancorato sì (armonicamente parlando) agli stilemi e alle modalità scalari mediorientali, ma di fatto inclassificabile: John McLaughlin ed Hendrix i suoi principali Maestri e, per l'appunto, Dick Dale e il Surf; ma anche il Punk, se vogliamo, anche la spontaneità performante dei chitarristi da garage-band, specie nelle parentesi più aperte al Noise, e una anti-convenzionalità che lo rende un visionario come pochi, fra i chitarristi del nostro tempo; e poi gusto, tecnica, velocità, ma anche un'attitudine melodica spiccatamente "morriconiana" che non sorprenderà, per un musicista del giro-Zorn. E' una figura di culto nell'ambito della cosidetta "Jewish Renaissance" odierna di cui molti teorizzano l'esistenza, anche se di fatto ciascun gruppo riconducibile a quella temperie ha un suo marchio di fabbrica, uno stile proprio: nello specifico, il merito dei Rashanim è quello di proporre ambienti sonori di rarissima bellezza, intensi come solo la musica sacra sa essere, percorrendo strade a metà fra il Jazz e il Rock con la personalità dei Grandi della Fusion "storica"; un crogiuolo di elettricità, vigore ed emozioni che ne giustifica l'inserimento fra le migliori realtà "etnicamente orientate" dell'ultimo periodo.

Madof mette assieme il trio intorno al 2002, reclutando Mathias Kunzli alla batteria e Shanir Ezra Blumenkranz al basso; e il loro album di debutto (come del resto i successivi "Shalosh" e "The Gathering") non delude affatto. Grooves bassistici rocciosi, pungenti e magnificamente orientaleggianti si innestano su una ritmica il più delle volte nervosa, concitata, e pefetto sostegno per divagazioni soliste (alla chitarra) che rasentano, se non toccano, la genialità. Entusiasmo e passione a non finire sono gli ingredienti di base, anche perché non si perde mai di vista il contesto (essenzialmente mistico-religioso) che fa da sfondo alla musica stessa. 

Quattro pezzi su undici appartengono al repertorio-Klezmer tradizionale, più una composizione del rabbino Moshe Rothblum; il resto è frutto della penna (e della creatività) di Madof, fra estese improvvisazioni e irresistibili duetti e scale eseguite all'unisono col basso (ascoltare "Meshek", terzo brano in scaletta). Pare di sentire uno Steve Khan alle prese con i moduli della canzone vicino-orientale, tanta è la fluidità dell'assolo mista a coerenza, al rispetto del modo prescelto. Ma numerose sono le citazioni di certa timbrica del Blues elettrico, persino dell'Hard quando la voce del solista abbadona la composta linearità del tema per abbracciare la furia incontenibile dell'improvvisazione. La ritmica è Jazz, sostanzialmente; spesso si fa silenziosa, discretamente sommessa quando il chitarrista esplora il lato più romantico-sognante del proprio repertorio, come in "Passing" e nelle impressioni notturne della misteriosa "Dybbuk".

Cinque stelle, che altro dire...? Ah si, che l'album (del 2003) è uscito per la Tzadik, come anche il resto della discografia dei Rashanim. Ma c'era per caso bisogno di sottolinearlo...?

Buon ascolto.

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