Un collegamento che non mi ha mai convinto, quelle poche volte che è stato analizzato il film, è la bollatura surrealista. Ma secondo me il surrealismo si combatte col surrealismo, o meglio con una parvenza che depisti quest'affibbiazione.
Ed in effetti c'è un barocco mistico di sovrapposizioni che inganna in quella direzione ma per portarci in un annullamento totale: non c'è storia, non c'è entertainment romanzato, non c'è cronologia né flashback, non c'è misurazione del tempo indi, pur usando il cinema, non c'è il "ciak si gira" in questo prodotto che ti trita divinamente aprendo su vedute del mondo reale.
L'abbaglio di una spirale ipnotica si infrange sugli scogli di una retta dove danza un ludo arcaico. Il regista ci guida facendo volare da Cnosso la sua upupa come ponte imprescindibile tra il qui e il lì. E l'atmosfera di assenza sospesa e mancanza di consequenzialità razionali ci trasporta in un flusso immobile dove tutto è davanti a noi. La realtà invisibile che ci circonda è "raccontata" con movimenti che assecondano la verità, e scrutare l'imperscrutabile anche solo per un momento ci fa capire che la nostra natura, che vive dalla nostra anima, non è legata mai all'organizzazione del tempo. Lo scandire il tempo è il nostro più grande inganno mentre Raúl Ruiz mai come in questo film ci fa stare dentro, e trasparenti, all'affastellamento dell'eternità. E cosa vuoi pianificare davanti all'eternità?
Aleggia per tutto il film una sospensione, una velata apatia del "tutto accade", che ci comunica che la maggior parte della nostra vita è suggerita da invisibilità esterne e attraverso uno strumento limitato come il cinema il regista riesce a riprende immagini psichiche. Il disagio latente durante tutto il film è che si sta continuamente sul piano onirico-astrale e si racconta la storia con un filtro non influenzato dall'ego, non c'è presenza. Si scoperchiano pentole piene di universi concatenati che vivono insieme a noi, ci si esprime finalmente con un linguaggio più vicino alla nostra essenza, dove la presa di coscienza dell'accettare quello che ci circonda e ci manipola, trasfigura la percezione della comunicazione dove un suono o un simbolo sostituiscono Babele e avvicinano all'unità.
Si ha nettamente la sensazione che la distanza tra corpo e anima si assottigli sempre più dove i protagonisti, spettatori di loro stessi, non possono che annullare lo pseudo umano che non sta da nessuna parte per abbracciare l'opacità di una vanità impersonale che prova a farsi forza constatando la condizione di eterno ritorno. Il tutto infarcito con un aroma orientale, con sponda magica sudamericana, che mitiga le psicopaticità attive di un albero genealogico occidentale.
Tutto diventa sgranato in un paesaggio marittimo che riflette dejá vu continui che basculano le situazioni in un'oscura aurora perenne. Un sogno trascendente di matrioske aperte esoterizza il complotto della vita diniegando i "buoni sentimenti" e tagliando i viveri al libero arbitrio, dandoci in cambio gocce di rugiada. Il linguaggio dell'anima irrompe come le mareggiate e blocca la presa in giro della rappresentazione, non ci sono appigli, non c'è "proiezione", non c'è la ricerca di proselitismo nel proporre il "lasciare tutto", non si induce in tentazione in questa disintegrazione, è un diritto di tutti. Tutto quello che appare ha la stessa valenza, tutti sono indispensabili, gioco di squadra, l'obiettivo filma gli atomi del totale denudando un DNA dell'aldilà.
La fuorviante educazione impartitaci a tutti quanti si prende una bella botta, che a qualcuno aprirà una breccia nel muro dell'inconsapevolezza. Coraggio. Malriposto è il cruccio da parte di alcuni "cervelli intellettuali" dell'insuccesso di considerazione dell'esterno a cotanta rivelazione, ma è lucente che questa è una cosa che non potrà mai avere successo al botteghino, per buona pace di una intellighenzia indotta e calcolatrice. La saccenza di un insegnamento elitario e sofista, ergo materialista, è spazzata via dove Ruiz mette in campo entità di livelli superiori, consapevoli delle loro reincarnazioni passate e in divenire, che mistificano lo spazio con sdoppiamenti di compagnia davanti allo sgomento del "per sempre".
La gelida atmosfera è veritiera nel segnalare che la percezione di un pubblico tendente, e ancora ancorato, al piano terra, alla base, è necessariamente fredda: più si racconta di situazioni superiori più si sta sù, e nell'acquisire impersonalità nell'ascesa, la rarefazione che arriva crea un distacco attraverso il misconoscimento di una forza che produce un abbandono della poltroncina, diventata un pezzo di ghiaccio, "punti di svista"... Ma la temperatura della vetta di questa montagna misura lo zero assoluto che va a braccetto con la presa di coscienza del "tutto è Uno". Chi resiste si riconosce nella "gelata".
C'è la presenza di anime antichissime che si mettono alla "finestra" a canzonare e canzonarsi in un cinismo compassionevole assente, raccontandosi riflessi di eterni ritorni dopo aver incontrato il cadavere di un passato glorioso. Un discernimento comprensivo rosacrociano misura le vanità morte e gioca a palla con il teschio rendendogli la vita "raccogliendo lo spirito che anima il Maestro risuscitato misticamente".
Raúl Ruiz osa l'impensabile e appare la sera operando prodigi con una luce "discreta" ma penetrante, poiché essa illumina l'interno delle cose: "Tutto del mio tutto, vuoto del mio vuoto"... Questa è la favola che si racconta al nostro Dio bambino che mangia solo aglio per rifuggire da un vampirismo adulterante che cerca di convincerlo del "cogito ergo sum".
Visioni sul proprio ignoto conosciuto, scorie d'infinito, il rumore dell'eternità: la pòlis sferza filibustiere scorribande dentro i nostri luoghi oscuri. Il regista filtra attraverso un opale nero una gnosi androgina temprata dalla compagnia di una Sfinge sempre presente con la sua domanda e disegna i confini definitivi di questo universo che ci compete.
Revisionismo del ricordo estremo è la quintessenza che espande lo spazio per abbracciare il creato, non siamo questo corpo ma siamo qui: "Quanto tempo per personificare la solitudine del Paradiso. Quanti sforzi per conquistare la purezza di questa noia. Come sbadiglierebbe la mia carcassa se tutto non si mischiasse. Che vita! Che vita.
Guarda... Ancora... Dio mio... quanto tempo durerà ancora? Pazienza... tutto ricomincia.
A volte mi dico che l'infanzia deve essere questa: Vivere e rivivere, solo per tutte queste enormità. Pazienza, mamma. Pazienza, figlia mia. Tutto ricomincia.
Noi siamo qui... Noi siamo qui... Noi siamo qui... Noi siamo qui... Noi siamo qui"...
Carico i commenti... con calma