Raymond il visionario.

Un giorno gli dissero che sarebbe dovuto morire. Era il 1958. Fu il primo di una lunga serie di infarti. Il dottore era serio e compenetrato nella sua parte: un anno di vita al massimo, sentenziò.

Raymond sorrise ed alzò le spalle. Lo sapeva che non era vero.

Perché Raymond vedeva il futuro.

Aveva visto macchine che creavano musica, generatori di ritmo, strumenti capaci di suoni mai sentiti prima, orchestre chiuse in una scatola, macchine da scrivere che scrivevano la musica che poi suonavano.

E, mentre i suoi occhi scrutavano il futuro, Raymond si dimenticava del presente.

Harry Warnow, classe 1908, brillante studente di ingegneria elettronica ed abile pianista aveva due passioni: la musica e la tecnologia. Chissà, forse una valvola pineale inesistente: il lobo destro e quello sinistro che lavoravano in sincronia.

Sembrò averla vinta la prima delle due passioni, quando, nel 1934, grazie a suo fratello Mark - che ne era il direttore – entrò nell’orchestra della CBS e lasciò perdere la laurea.

Così Harry divenne Raymond Scott (trovò il nome sull’elenco telefonico, gli piacque il suono), per non imbarazzare il fratello. Ma in quella orchestra ci rimase poco, un paio d’anni, il tempo di tirare fuori da lì gli elementi giusti per il suo primo gruppo: il Raymond Scott Quintette.

L’unico quintetto che io conosca formato da sei elementi.

Raymond aveva le sue idee sulla composizione: pretendeva che i musicisti imparassero ad orecchio le linee melodiche che lui componeva al piano – niente trascrizione – perché era convinto che “si suona meglio con gli occhi chiusi”, ma pretendeva che le riproducessero con assoluta fedeltà. Chi li vedeva suonare credeva che stessero improvvisando, invece no: Raymond era inflessibile, non ammetteva sbavature.

Era difficile suonare con lui.

La critica era interdetta. Cos’era quella roba? Sembrava Jazz ma non era Jazz.

E per complicare le cose scrisse anche un articolo per Billboard Magazine in cui definiva lo swing: ‘Stagnant’ Syncopation”.

Raymond lo chiamava “descriptive Jazz” e si inventava titoli piuttosto strambi tipo: "New Year's Eve in a Haunted House," "Dinner Music for a Pack of Hungry Cannibals", "Bumpy Weather Over Newark”, Twilight in Turkey," "Minuet in Jazz," "War Dance for Wooden Indians," "Reckless Night on Board an Ocean Liner”. E le sue più famose: "Powerhouse”, "The Penguin” e "The Toy Trumpet".

Il pubblico gradiva. La Columbia lo mise sotto contratto e la CBS radio se lo teneva stretto.

Il quintetto divenne un’orchestra – la “Raymond Scott and his Orchestra” – forse la prima orchestra radiofonica multirazziale della storia (erano gli anni ’30), in cui suonavano musicisti di colore come Ben Webster, Cozy Cole, Emmett Berry ed altri (ve l’ho detto che era un visionario).

Con quei jazzisti, ed altri, mise anche su un progetto, “the Secret 7”, ed incise un gran disco: “The Unexpected”.

E compose musiche per film (lavorerà anche con Hitchcock), per musical, per balletti e per programmi radiofonici.

Ma Raymond non era soddisfatto.

Avvertiva i limiti della “componente umana” della sua musica. “Vedeva” altri suoni, manipolati da musicisti-tecnici, altre possibilità, altri colori da aggiungere alla tavolozza.

Raymond immaginava studi di registrazione che missavano, editavano, rielaboravano e reinventavano il suono; vedeva uomini che si chiameranno Joe Meek, Phil Spector, George Martin, Brian Wilson, Alan Parsons, Adrian Sherwood, Martin Hannett….

E poi vedeva musicisti che programmavano macchine che suonavano da sole, intere orchestre riprodotte da un solo strumento e da un solo esecutore, robot che suonavano al posto dei musicisti che si sedevano tra il pubblico, manipolatori di suoni che interagivano in tempo reale con i musicisti, musiche composte con suoni mai uditi prima, corrieri cosmici, uomini-macchina, musiche ambientali, suoni sintetici.

Ma a questi musicisti, a questi esploratori, a questi innovatori, a questi ricercatori di suoni che verranno, bisognerà dare gli strumenti, i mezzi, i macchinari.

E’ per questo che nasce il progetto “Manhattan Research Inc.”

Ma servono soldi, molti soldi.

Così, quando la Warner Bros. vuole le musiche di Raymond per i suoi cartoons, lui accetta anche se quei cartoons non li ha mai visti, né mai se ne è interessato (e mai gli interesseranno). Anche se quelle musiche non sono nate certo per quello scopo.

La Warner affida quei pezzi ad un compositore e geniale arrangiatore che ha lavorato con Walt Disney: Carl Stalling.

Quello che Stalling farà con le musiche di Scott è strabiliante. Quelle musiche renderanno quei cartoons straordinari ed indimenticabili. Voi non sapete quante volte avete ascoltato “Powerhouse”!

Stalling è un genio dell’arrangiamento. Quei cartoons e quelle musiche segnano un’epoca. Il problema è che tutti credono che quelle musiche siano solo di Stalling. E così Stalling diventa un mito (tutti i nerds amano discettare della sua grandezza), ma nessuno si ricorda che quelle musiche sono per gran parte di Scott.

Ma a Raymond sembra non interessare.

Trova anche il tempo di sposarsi per la seconda volta con la cantante Dorothy Collins, con cui inciderà alcuni dischi che anticipano tutta la “lounge music” di là a venire, con titoli fantastici come “ectoplasm”.

Poi, suo fratello Mark muore a soli 49 anni. E Raymond eredita “your hit parade”, lo show di grande successo che lui conduceva alla radio.

Insomma non si ferma un attimo: suona, produce artisti, compone, lavora per la radio, ed inventa strane macchine suonanti.

Ed i soldi arrivano.

Nel 1946 il “Manatthan Research Inc.” è una realtà.

E’ un laboratorio, un antro del futuro, uno stanzone zeppo di macchinari assurdi e fantascientifici nel quale si può produrre, comporre, eseguire, manipolare e registrare ogni tipo di musica usando solo macchine.

Macchine con nomi strani: Karloff, Bandito the Bongo Artist, Clavivox, Videola, Bassline Generator e tanti altri. E il più importante, il più ambizioso di tutti i suoi progetti: l’Electronium.

Mitzi, la sua terza moglie, racconterà che l’Electronium era proprio come uno di famiglia, le sembrava quasi che quel coso interagisse con loro, una vera intelligenza artificiale applicata alla musica.

Altri li chiameranno sintetizzatori, drum machines, oscillatori, laptop ecc. ecc. Ma vuoi mettere il fascino di quei nomi?

E attenzione alle date: qui siamo nel pieno dei ’40. “Déserts” di Varése è del ’54, Stockhausen comincia a comporre negli anni ’50, “Symphonie Pour Un Homme Seul” di Schaeffer è del ’49, il “Groupe de Recherches de Musique Concréte” si forma nel ’51.

Insomma il nostro Scott è avanti. E’ proprio avanti.

Negli anni cinquanta alla porta dei Manatthan Research bussa un giovanotto, un certo Robert Moog.

Raymond, però, non è interessato agli studi accademici sul rumore, non pensa ad una musica colta e cerebrale; la sua idea di musica elettronica è profondamente e sinceramente “pop”. Produce musiche per commercials e sigle televisive, applicazioni e siparietti, oggetti musicali di uso comune (accendini, carillons, gadgets, persino un sex toy che suona differentemente a seconda di come viene toccato….). Crea la Raymond Scott Enterprise per commercializzare il tutto.

Musiche che verranno raccolte ed incise nel 2000 (e ristampate nel 2017) su di uno splendido doppio cd (o triplo vinile) con ricchissimo booklet, dalla Basta Records dal titolo “Manatthan Research Inc.” che vi consiglio caldamente.

Ma Raymond non è un grande affarista.

E’ un uomo di musica. Così, finalmente, si decide – solo nel 1963 - a comporre ed incidere musica tutta sua, completamente prodotta con le sue macchine.

Saranno tre dischi: i tre volumi di “Soothing Sounds for Baby”. Accompagnate dalle note esplicative redatte dal Gesell Institute of Child Development, queste musiche hanno uno scopo ben preciso: far addormentare i bambini. Devono riempire l’ambiente, restare in sottofondo, sonorizzare senza imporsi. Non nascono per essere ascoltate ma per essere usate per una funzione.

Ora sostituite “baby” con “airports” e fate “ciao ciao” con la manina a Brian Eno ed a tutta la ambient music.

Non credo che nessun bambino abbia mai dormito con quelle musiche, le vendite sono un flop, quei dischi spariscono subito per riapparire solo dopo il duemila in sciccosissime edizioni della solita Basta Records. Ascoltati oggi quei dischi fanno un effetto incredibilmente straniante. Minimalismo, drone music, ambient, retrofuturismo, vintage, glitch, tutto insieme, tutto miscelato in un misterioso calderone senza tempo. Ascoltati senza conoscerne titolo e provenienza, sfido chiunque ad intuirne la data ed a definirne lo stile.

Ma gli anni passano. Arrivano i ’70 ed il futuro comincia a diventare presente. Scott è tutto preso a perfezionare l’Electronium e non si accorge di quello che avviene intorno a lui.

Ed alla sua porta bussa Berry Gordy, il boss della Motown. Berry ha intravisto enormi potenzialità nel lavoro di Scott, ne ha intuito possibili riscontri commerciali e vuole Scott con lui. Gli propone di mettersi a capo di una sezione di ricerca e di musica elettronica della Motown, e vuole l’Electronium. Scott si convince: molla tutto e se ne va in California.

Berry Gordy e Raymond Scott, si può immaginare coppia più strana?

E, infatti, non funziona.

Nessun disco Motown verrà mai prodotto dalla sezione ricerche diretta da Raymond Scott.

Durerà fino al 1977, poi Raymond mollerà Berry Gordy e se ne tornerà a New York.

Senza lavoro, ormai fuori dal giro e del tutto dimenticato, Raymond continua a perfezionare il “suo” Electronium. Gli è costato 11 anni di lavoro e più di un milione di dollari e se ne sta lì, inutilizzato.

Perché a Raymond è capitata la cosa peggiore che può capitare ad un visionario: le sue visioni si sono realizzate. Il futuro è diventato presente. I Kraftwerk, i Tangerine dream, Eno, i Suicide, i Throbbling Gristle, Steve Reich, i Residents e decine e decine di altri hanno fatto suonare le macchine ed i robot, hanno esplorato lo spazio e le profondità dell’inconscio, hanno dato voce agli scarti dell’industrializzazione, hanno cercato la voce umana nella disumanizzazione. E lo hanno fatto e lo fanno con altri strumenti.

E poi l’ambient, il minimalismo.

Presto il synthpop porterà quelle musiche anche nei supermercati.

L’influenza di Raymond Scott sulla musica del ‘900 è enorme. Enorme.

Ma Raymond non ha smesso di guardare avanti. La sua nuova idea è macchine che trasportano la musica attraverso le onde cerebrali dal compositore agli ascoltatori. E’ convinto che l’Electronium sia ancora il futuro.

Però il problema è la salute. Quel cuore debole che cede, una, due, tre volte. Gli mettono un triplo bypass. Poi, nel 1987, l’ennesimo infarto lo lascia semiparalizzato. Non può più parlare, scrivere, muoversi autonomamente.

Può sognare. Può continuare a sognare.

Intanto il pubblico scopre Esquivel e lo Space Age Pop (poi verranno gli Stereolab, i Broadcast, i Lali Puna e più in là la Hauntology e tutto il retrofuturismo). Hal Willner ed Irwin Chusid si ricordano di Raymond Scott, intuiscono che i tempi sono maturi per una sua riscoperta. Chusid lo cerca, trova il suo numero e lo chiama.

Mitzi si incazza.

-Ora lo chiamate? Adesso vi ricordate di lui? Non può più parlare, non può più comporre….

Il nome, però riprende a girare. Si pubblicano raccolte, si ristampano i tre volumi di “Soothing Sound for Baby”. Certo non si può parlare di successo ma è qualcosa.

Poi Raymond muore, nel 1994.

Ma non ha mai smesso di immaginare il futuro: musiche che attraversano lo Spazio, danze di Stelle, sinfonie di elettroni, battiti di energia, onde cerebrali trasformate in onde sonore, i bastioni di Orione, i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.

E tutto questo è andato perso, come lacrime nella pioggia.

“That’s all folks” (Bugs Bunny e Duffy Duck salutano e vanno via danzando).

Diario del capitano. Data astrale 2147 punto 25. Fine della registrazione. Passo e chiudo.

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