Rabbia, pugni, sangue, violenza e ancora violenza...

Non stiamo certo parlando di un film sparatutto o di un B movie di culto dal gusto Gore/splatter; stiamo parlando della settima fatica dei Canadesi Razor, che nella loro abbastanza sfortunata carriera hanno fatto della violenza sonora il loro marchio di fabbrica.

La band del chitarrista Dave Carlo (tra l'altro unico componente rimasto fisso nel gruppo) con questo "Open Hostility" sancisce definitivamente il loro caratteristico sound, che esclude fin da subito l'originalità o l'inventiva, a favore dell'immediatezza e dell'impatto diretto sull'ascoltatore. Non aspettatevi quindi le stesse soluzioni adottate dagli stravaganti Voivod o dagli ultra tecnici Annihilator (entrambi connazionali dei nostri); quì si parla di delirio, energia pronta ad esplodere da un momento all'altro; si parla di mal di collo post-headbanging e adrenalina.

Tutte sensazioni che solo questi tipi di album sanno confertirti, quegli album che casualmente vai a ripescare quando pensi: Oggi ho proprio voglia di ''ignoranza''!  Anche se poi non si tratta effettivamente della stessa ignoranza di album come Evil Invaders (che nonostante tutto adoro alla follia), perchè in Open Hostility i nostri dimostrano la loro definitiva maturazione tecnica che si accompagna ad una produzione pressochè ottima e decisamente più curata. Open Hostility è dunque da una parte un album privo di originalità e di ricercatezza, ma dall'altra è sicuramente una polemica (come dichiarato da Dave Carlo) alle tristi sorti cui il Thrash Metal è andato incontro al sorgere dei 90's, dove band come Metallica, Anthrax, Megadeth, Testament ecc. hanno accantonato il loro sound originario per adattarsi alle nuove tendenze dettate dall'avvento del Grunge. Open Hostility è una risposta della serie: Ehi Headbangers, non demordete, il Thrash non morirà mai e noi siamo ancora qui!

Quindi, detto ciò, si può ribadire che con questo lavoro i Razor non hanno certamente avuto intentenzione di mollare tutto, nonostante un incidente accaduto al batterista Rob Mills che gli ha impedito di suonare in questo album. La domanda sorge spontanea: Chi è il batterista in questo album? Vista l'alta velocità delle ritmiche che hanno caratterizzato ogni LP dei Razor, un normalissimo fan si aspetterebbe una specie di Dave Lombardo pronto a prendere il posto di Mills. Ed invece no, perchè quì non c'è un batterista, ma - Colpo di scena - una drum machine!

E' dunque alquanto inaspettata la scelta di Dave Carlo di non cercare un nuovo batterista preferendo adottare uno strumento elettronico, eppure l'ha fatto. Forse questo può essere considerato il primo album senza un batterista in carne ed ossa nella storia dell'Heavy Metal; fatto che si ripeterà anche con i Brasiliani Sarcofago nell'album Hate del 1994 (anche se la scelta della drum machine era indirizzata solamente al raggiungimento di un numero elevatissimo di bpm). Ebbene ciò potrebbe far storcere il naso a molti, ma non consiglio assolutamente di farsi dei pregiudizi, perchè ascoltando l'album si rimuoverà quasi automaticamente questo inconveniente.

Superato questo, se così si può chiamare, difetto c'è un altro fattore da evidenziare: mancano gli urlacci famelici dello storico e biondo singer Stace ''Sheepdog'' Mclaren ( come scordare ''Below The Belt'', ''Edge Of The Razor'', ''Tortured Skull'', ''Cut Throath''), che sinceramente preferisco di poco a questo Bob Reid, che ha sostituito Stace già in ''Shootgun Justice''. Dave Carlo alla chitarra, Bob Reid alla voce, Jon Amstrong e...La drum machine partoriscono dunque nel 1991 questo full lenght con i controcazzi, che ribadisce per l'ennesima volta la politica dei Razor fatta di risse da strada, lame affilate e psicopatici Serial Killer.

Le varie ''In Protest'', ''Bad Vibrations'', l'esplosiva ''Road Gunner'', non fanno altro che confermare quanto appena detto. Da citare anche la divertente e ''moshiosa'' ''Cheers'', dal ritornello: Cheeeeers to my frieeeends! L'unica chitarra sia ritmica che solista di Dave, riesce lo stesso ad essere incredibilmente aggressiva, come dimostra l'apertura di ''Iron Legions'', per certi versi simile all'inizio di ''Torture Tactics'' dei non meno cruenti e sanguinari Vio-lence. Ma è ''Sucker For Punishment'' la vera chicca del disco: parte a raffica, il che fa pensare ad un'altra canzone canonica; ma incredibile, ad un certo punto le ritmiche si abbassano notevolmente, e si mantengono tali per diversi minuti. Quì i nostri hanno stranamente deciso di placare per un attimo il loro carattere irrequieto e spietato, facendo di ''Sucker For Punishment'' una delle loro canzoni a mio avviso più riuscite. Ma si percepisce tuttavia, in quell'incedere lento, che la voglia di schiacciare nuovamente l'acceleratore è li pronta per esplodere; e così avviene, si riparte in quarta nel classico ''Tupatupa'' dal Mosh più esaltato, dove Bob canta: Fight the System! Esortando il cosiddetto ''Sucker'' a non farsi schiavizzare dal sistema. Ho evitato un'analisi track by track vista la scarsa poliedricità dell'album: quasi tutte le canzoni non superano i 2 massimo 3 minuti di durata e ad un primo impatto si fa fatica a distinguerle l'una dall'altra eccetto per ''Sucker For Punishment''.

I capolavori della band sono stati altri (Executioner's Song e Violent Restitution per quel che mi riguarda), ma questo ''Open Hostility'' merita comunque l'ascolto, vista la coerenza della band e il loro amore per il Metal che non sono mai venuti a mancare. Per gli affamati di Thrash Metal più rozzo e cattivo questo lavoro può considerarsi come uno degli ultimi veri esempi di Old Schol suonato come si deve; per cui quando si ascoltano album di questo calibro bisogna mandare a fanculo ogni sorta di pregiudizio e apprezzare questa grandissima band per il contributo che ha dato allo sviluppo del panorama Heavy Metal canadese e, più in generale, alla scena underground.

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