La musica che ci portiamo "dentro" da sempre.

Marie Boine Persen è un artista davvero insolita e fuori dalla norma. Risulta difficile collocarla in un genere ben definito e paragonarla a qualche altro artista, perchè poche come lei vivono in simbiosi viscerale con la loro terra, in questo caso la Norvegia, e sanno trasmetterne l'odore, la carnalità e i suoni ancestrali dell'ambiente che la circonda.

Già le liriche che compone e canta sono nella lingua della gente Sami del posto. Il suo esordio a distribuzione internazionale è proprio questo "Gula Gula", registrato nell'89 per la Real World di Peter Gabriel che intuì la grande carica espressiva di questa ragazza forte e decisa come poche. Il disco infatti, non a caso, ha ricevuto ampi consensi dall critica e dal pubblico che per la prima volta si accorse di questa singolare cantante che sembrava caduta da un altro pianeta: cos'erano queste voci arcaiche e gutturali che sembravano "uscirle dal corpo" più che dalla voce? Cos'era quella musica senza tempo che ricordava più antichi riti propiziatori e divinatori che vera e propria "musica" contemporanea? La particolare vocalità di Marie infatti, abbinata alle linee melodiche delle sue "arie", reinterpreta le mitologie di un popolo circondato dai ghiacci e dall'oscurità per grande parte dell'anno, e appare senza dubbio originale e unica, con pochissimi termini di paragone sul mercato internazionale.

Figlia di pescatori di salmoni, nata in un piccolo villaggio sul mare nel 1956, Marie Boine è cresciuta con un'educazione di estremo rigore, negli insegnamenti della comunità religiosa dei "cristiano-pietisti", ed è proprio lì che muoverà i suoi primi passi specializzandosi nel canto salmodico del Laestadian, molto popolare tra il popolo Sami di Norvegia. La musica di Marie, fonde sapientemente gli antichi spiritual neri, insieme al joik tradizionale Sami, contaminandoli coi canti gregoriani cristiani, e miscelando il tutto con "insert" di musica contemporanea come il jazz, il rock e la musica di altre culture popolari quali quella indiana americana, araba e africana (specie nell'uso tribale delle percussioni) prestando la sua particolare voce al sassofonista Jan Garbarek, al cui fianco ha inciso il più recente album per la ECM, Twelve Moons.

Musica "dalla pancia" dicevamo, suonata con sapiente uso delle tonalità "basse" che riescono a scuotere e a far vibrare gli "intestini" e il basso ventre, seducendo il corpo ad esternare la parte più primitiva e istintuale di ognuno di noi. Musica "quasi" terapeutica nella sua evocazione sciamanica e oserei dire "sacra": una musica sorretta da poche note, poche variazioni tonali come se non servisse nulla di più per rimarcare la bellezza suggestiva di queste 8 tracce-mantra di sconcertante poesia collocabile in nessun genere, nessun luogo, nessun tempo, come se in realtà, appartenessero e fossero "di dominio pubblico da sempre" e affiorate dalla parte più remota dell'Essere Umano dall'alba dei tempi.

Una musica che ci fa dire "mi sembra di averla già sentità, come fosse MIA da sempre, da ancora prima che nascessi o mi reincarnassi in questa vita". Bau Bye.

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