Chi ritiene il nu-metal figlio del crossover si sbaglia. Il Crossover vero e proprio nasce come un genere tra i più scapestrati di sempre. I Peppers degli esordi erano forse troppo ostici per l’ascoltatore medio, ma la formula comune era quella di mettere in musica l’estrema voglia di vivere che caratterizzava una minoranza dei musicisti degli ’80, anni invasi dalla new wave e quindi dalla depressione e dalla frustrazione; una patina ghiacciata che il Crossover si proponeva di scongelare.

Impresa mai riuscita, considerando che i veri alfieri del genere (R.H.C.P. e i nostri Fishbone) trovarono la loro via solo nei tardi anni ’80. Altra fatto da specificare è che gruppi come Rage Against The Machine o Faith No More non condividevano la filosofia del crossover, influenzati dalla politica o grunge che sia, questi gruppi saranno i veri fautori del fenomeno nu-metal, che in definitiva si distacca dal Crossover puro.

Questo disco, “The Reality Of My Sorroundings” è forse l’opera perfetta del genere, considerato anche che lavori eccellenti come “Blood Sugar Sex Magic” non avevano la spontaneità esuberante da sempre predicata in questo ambito musicale (pur rimanendo album lodevoli). La serietà è pari a zero; pezzi come “Fight The Youth”, una sorta di satira nei confronti del metal, suonano con una freschezza eclatante; la fusione di trombe e chitarre rauche raggiunge qui vertici di fruibilità irripetibili. Le canzoni si susseguono senza mai sembrare simili; l’eterogeneità è assoluta. I nostri non si risparmiano nemmeno per ciò che concerne la forma dei brani; si passa infatti da funamboliche filastrocche a ritmo di ska come “If I Were A… I’d” (ripetuta quattro volte) a suadenti e strambe serenate come “So Many Millions”. “Asswhippin” è un semplice ritmo tribale accompagnato da frustate e grida. Ci sono canzoni che definire irripetibili è poco: “Housework” non si ferma un attimo, una folle corsa senza meta, accurata fusione di ritmi sfrenati e carisma strumentale.

Cagnare stonate come “Deathmarch”, ipnotici ska-rock come “Behavior Control Technician” (una ventata di aria fresca), punk demenziali come “Pressure” e stranianti trip tropicali come “Junkies Prayer” sono l’essenza del disco, incapace di darsi una forma definitiva e per questo seminale nel panorama musicale mondiale. Le cadenze reggae potenziate di “Pray To The Junkiemaker” ci accompagnano all’anthem impressionistico di “Everyday Sunshine”, tanto gradevole quanto multi etnico. Da non dimenticare poi le splendide digressioni di “Babyhead”, “Those Day are Gone” (forse profetica) e “Sunless Saturday”, due delicati abbozzi di cioè che sarebbe potuto seguire e che probabilmente fu la vera morte del Crossover. L’equilibrio, musicale, personale ed esistenziale, antitesi del genere stesso.

Un disco coraggioso, non facile da metabolizzare, vista la varietà stilistica in cui si muovono i brani e l’originalità delle composizioni. Forse non è conosciuto come altri lavori molto più fortunati del periodo, ma “The Reality Of My Sorroundings” è fondamentale per capire appieno cosa fosse il Crossover.

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