La scuola di Canterbury è stata prolifica di artisti, ognuno caratterizzato da un proprio stile particolare, anche se il sound restava inconfondibilmente quello. Il progressive dei Caravan fondeva rock, jazz e psichedelia in un delicatissimo connubio di armonie e visioni, e d’ altronde già dal paesaggio incantato grigio e rosa presente nella copertina del disco possiamo immaginare in quale trasognata atmosfera stiamo per immergerci: ebbene sì, vertici inarrivabili di prog e melodia, questo il prodotto dei Caravan.

E’ uno dei dischi base del progressive, ma è anche uno di quei dischi che ti strega a pieno ascolto e ti entra subito dentro senza chiedere permesso. Qui si vuole che dia un giudizio personale: ebbene, in un’eventuale “scala dei valori”, non esiterei neppure un attimo a mettere questo disco sullo stesso scalino (il più alto, s’intende) di “Third” o di “Close to the edge” o di alcuni lavori di Pink Floyd e King Crimson. Va anzitutto sottolineato che la bravura tecnica e compositiva dei Caravan è anche sicuramente merito della conoscenza e dell’influenza del più grande musicista dell’era moderna: sir Robert Wyatt, maestro di Canterbury e padre del genere, con cui tra l’altro R. Sinclair aveva suonato nei Wild Flowers, insieme a Hugh Hopper e Kevin Ayers (la crème di Canterbury). Ma cosa caratterizza i Caravan? Come è stato possibile che abbiano creato un capolavoro tale, capace di trasportarci così lontano dalla realtà, di scoprire il mondo nascosto dove ognuno di noi avrebbe da sempre voluto vivere? E’ la loro ammaliante cadenza, che ci fa sembrare cortissimo anche un pezzo di 23 minuti, ci fa stare con l’orecchio appeso per evitare di perdere anche una sola nota di tromba, mellotron, chitarra o basso che sia.

Attenzione a non fraintendere, però: l’ascoltabilità non è sinonimo di semplicità né di banalità, va anzi riconosciuto ai Caravan la rarissima capacità di riuscire a rendere melodico anche quello che di per se è complesso o strettamente tecnico, se pur mai fine a se stesso. I Caravan che suonano in “In the land of grey and pink” sono Richard Sinclair, cantante e bassista, il cugino David alle tastiere, il cantante e chitarrista Pye Hastings, il batterista Richard Coughlan, e vi è poi l'appoggio di Jimmy Hastings ai fiati (sax e flauto). Tale da trasportarci davvero in un mondo grigio e rosa abitato da fate e folletti, la voce candida di Sinclair è dotata di un tono di adagiante malinconia che va ad avvolgere i testi surreali come un velo mielato. L’album, uscito per la “Deram” nel 1971, inizia con la trascinante “Golf Girl”, in cui si parla di tale Pat, ragazza vestita in PVC, che vende il tè a Richard come nei sogni più strani. E’ sin dall’inizio facile notare la completezza del sound soprattutto per gli interventi di organo e fiati che, assieme al candore vocale di R. Sinclair, raggiungono picchi degni di nota. La successiva traccia è la delicata “Winter wine”, che ha nel momento melodico il suo sfogo migliore; sembra quasi descrivere un sogno medievale ma, purtroppo, “dreams are always ending far to soon”.

Ad opera di Pye Hastings è l’allegra freak-songLove to love you (And tonight pigs will fly)” , sicuramente il pezzo più banale del disco ma comunque dai momenti significativi, vedi l’assolo di flauto finale. La quarta traccia “In the land of grey and pink” rispecchia a pieno l’humour del gruppo, con testi apparentemente non-sense; notevoli gli intermezzi di pianoforte e fiati, e concordo con lo Sgrignoli riguardo l’arcobaleno che potrebbe fare capolino mentre scorre questa musica! Sublime capolavoro dei Caravan e tra i manifesti del progressive tutto è la monumentale suiteNine feet underground”, 22.44 minuti di pura estasi musicale, uno sconcertante volo ad occhi chiusi negli ampi e sconfinati cieli del prog, del jazz-rock e della melodia. Ha come culmini i vari passaggi tra gli strumenti, ogni momento in cui attacca la voce solare di R. Sinclair e i continui cambi di ritmo, che come un vento imprevedibile va a cullarci dolcemente fino ad adagiarci lenti o a scaraventarci via. Una curiosità: il titolo trae spunto dalla stanza dove viveva R. Sinclair, che si trovava, appunto, nove piedi sottoterra. L’evoluzione artistica dei Caravan pervenne così a un livello altissimo e mai più raggiunto dagli stessi, causa anche i successivi cambi di line-up.

L’edizione ristampata in cd dalla “Decca” nel 2001 contiene 5 brani aggiuntivi, tra cui alcuni prototipi delle canzoni già edite. Con l’avvento del nuovo millennio “Nine feet underground” brilla sempre più di luce propria, e le fatate concezioni di tempo e luogo in essa vanno a permearsi nelle sensibilità generazionali di qui a venire, a suggello dell’intramontabilità di un’arte così nobilmente finalizzata e, ben oltre, della perenne ricerca umana della libertà interiore.

Disco unico e superlativo, “In the land of grey and pink” è consigliato a chi ha palati fini ma soprattutto a chi vuole avvicinarsi al genere.

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