Il segreto sta sempre nel trovare il giusto di punto di vista.
La ragazzina impertinente (ed anche parecchio sboccacciata), ma irresistibilmente simpatica, che ha scalato le chart inglesi ed ha sfornato il successo dell'estate? La scaltra promotrice di se stessa che dalla sua paginetta su MySpace è arrivata ad essere uno dei personaggi più cliccati (sigh) della rete? La figlia di papà con gli agganci giusti che a 21 anni ha già in tasca il suo bel contratto milionario con la major di turno? Oppure, volendo far tacere il clamore dei media (fanno più danni gli MTV Awards...) e provare a considerare la sostanza, un talento musicale ancora acerbo a cui però non difettano gli ascolti giusti, ne validi punti di riferimento? O addirittura, la vera ed unica rivelazione della scena inglese degli ultimi tempi, in grado di combinare un sorprendente (per la giovane età ) eclettismo musicale con una irriverente ironia, raccogliendo idealmente il testimone da personaggi dal calibro di The Street, al secolo Mike Skinner ?
Lily Allen a ben vedere è un po' di tutto questo, ma, in fondo, tutte queste definizioni sono quantomeno parziali e allora forse Lily Allen è semplicemente una che si è conquistata sul campo il diritto ad essere valutata al di fuori degli stereotipi e dei luoghi comuni (o peggio ancora dei pregiudizi). E se si prova a farlo si dovrà riconoscere che "Alright, Still", suo album d'esordio, supera abbondantemente la prova.
Ciò che sorprende di questo lavoro è la capacità di assimilare le influenze di pop, dub, reggae, ska, hip hop senza farsi sopraffare, conservando la freschezza di una un opera prima piacevolmente ingenua e per nulla pretenziosa. Lily Allen non è Frank Zappa o Beck Hansen, ma nemmeno ci prova. Mette sul piatto quel che ha da offrire e poi prendere o lasciare e amici come prima. Come spesso accade in questi casi il meglio sta altrove rispetto ai singoli da classifica, seppure l'orecchiabilissima "Smile", che ha fatto la gioia dei suoi discografici, suona, nella sua innocuità, comunque un po' diversa dalle cose che siamo abituati a sentire al numero 1 delle chart. Le si perdona volentieri che l'incipit ad effetto ("When you first left me I was wanting more / But you were fucking that girl next door") sa un po' di provocazione pensata a tavolino. Meglio, molto meglio, "Knock 'em out", nel miglior stile dell'hip hop "bianco" manifesto dell'orgoglio femminile (ma per nulla femminista) della Allen, ironico compendio di tecniche per rifilare il due di picche ("And no you can' t have my number, " Why?" Because I' ve lost my phone!").
Ancora meglio le contaminazioni tra dub e sonorità sixties di "Everything's just wonderful", geniale mix di stili idealmente lontanissimi nel tempo, oppure la personale rilettura del genere ska-reggae in "LDN" ancora una volta su testi graffianti ("A fella looking dapper, but he's sittin with a slapper / Then I see it' s a pimp and his crack whore") che stridono con le atmosfere spensierate della musica e della voce della Allen. Più avanti "Little things" è un ballata che riesce finalmente ad essere romantica, dopo tanta perfidia, ben supportata da una struttura R&B e da una bella base di piano. Il disco ha, inevitabilmente, dei punti deboli ed il fatto che siano piazzati quasi tutti verso la fine porta a terminare l'ascolto un po' interdetti. "Take what you Take" è un inutile pezzo convenzionalmente pop e "Alfie" è una filastrocca naif, che davvero non meritava di chiudere quest'album.
E' decisamente un peccato che il successo planetario di questa artista rischi di oscurarne le reali qualità, martellandoci le orecchie con il singolo (o i singoli) del momento finendo per anteporre il personaggio alla musica. Oltre il clamore e il marketing, rimane il semplice fatto che "Alright, Still" non è altro che un debutto di sorprendente qualità, la dimostrazione che le idee ed il talento si esprimono a prescindere delle forme più o meno colte che si scelgono per presentarsi al proprio pubblico.
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