La prima raccolta ufficiale dei Pink Floyd esce il 14 maggio 1971 per la EMI ed è prodotta da Norman Smith.
“Relics” comprende 5 brani già apparsi su LP e 5 singoli editi solo su 45 giri, più un inedito, ed è utilissima a far approfondire il mondo “Pink Floyd” ai fan che si stavano sempre più moltiplicando.
Dal vangelo secondo Nick Mason: >>Per colmare il vuoto mentre lavoravamo a Meddle, ripiegammo su una vecchia formula dell’industria discografica: una compilation di singoli e altri brani marginali. Relics – “Una bizzarra collezione di antichità e curiosità” – conteneva un solo brano nuovo, “Biding my time” di Roger, in cui Rick alla fine ci inflisse il suono del suo trombone. Relics uscì in maggio, poco prima che suonassimo al Crystal Palace Garden Party<<
Undici i brani: esaminiamoli in un percorso storico-musicale.
1) ARNOLD LAYNE - composta da Barrett nel 1967, già edita su 45 giri. E’ questo il primo singolo pubblicato dai Pink Floyd, messo in commercio l’11 marzo con “Candy and a currant bun” sul b-side, e appena uscì ebbe un enorme successo, raggiungendo il ventesimo posto nelle classifiche britanniche, anche se alcune radio si rifiutarono di trasmetterlo per via del testo, in cui il protagonista aveva l'hobby di collezionare (o meglio rubare) vestiti da donna. Già da qui è evidentissima l’originalità della band: tastiera e chitarra disegnano qualcosa di assolutamente nuovo e mai ascoltato prima e non hanno nulla a che vedere con la moda beat imperante il quel periodo, né tantomeno il testo. La voce principale è di Barrett, ma intervengono anche Waters e Wright. La registrazione della canzone avvenne su un registratore a quattro piste per la riproduzione mono; basso e batteria furono registrate su una pista, chitarra e tastiera “Farsifa Duo” su altre due. Tutti gli effetti, come il raddoppio di batteria, vennero aggiunti quando queste tre piste furono riversate insieme sulla quarta, e la voce e gli assolo di chitarra furono aggiunti come sovraincisioni; un mix finale della canzone fu infine masterizzato su un nastro mono. Curioso il fatto che prima di inviare i nastri del 45 giri alla EMI, nel febbraio 1967, i Pink Floyd registrarono il pezzo due volte, anche se non vi fu nessun miglioramento. I nastri pervennero alla EMI il 27 febbraio 1967, ma le registrazioni furono fatte il primo febbraio negli studi Sound Techniques situati nella zona di Chelsea, ossia il giorno stesso della firma del contratto con la EMI. Interessante l’aneddoto riguardo al video promozionale della canzone, girato lungo le coste del Sussex: i quattro avevano appena finito le riprese, che li vedevano giocare con un manichino vestito in vari modi, quando si avvicinò un poliziotto chiedendo se avessero visto stranezze, e loro con facce da ingenui borghesi risposero di no, promettendo di avvisarlo se avessero notato qualcosa di sospetto; probabilmente la legge sperava in una retata dato che nei dintorni abitava il già famoso Keith Richards, evidentemente non nuovo a stranezze; fortuna che non controllarono la macchina, nella quale c’era il manichino con un elmetto da poliziotto!
2) INTERSTELLAR OVERDRIVE - composta da Barrett, Mason, Wright e Waters nel 1967, tratta da “The piper at the gates of dawn”. Interamente strumentale, è caratterizzata da un riff grezzo, tra i più spaventosi della storia del rock; splendida visione psichedelica nonché viaggio spaziale dell’immaginario barrettiano, opera alquanto inimmaginabile per i tempi (e probabilmente anche per i tempi d’oggi). Il brano, come tutto l’album “The Piper at the Gates of Dawn”, fu inciso negli studi di Abbey Road. Era uno dei primi cavalli di battaglia dei Pink Floyd, ma suonato live non era soggetto a limiti di lunghezza, ed era composto anche da sezioni improvvisate, dato che veniva suonato spesso con elementi diversi, se pur nello stesso ordine; in pratica tutto si basava sul riff di Barrett, e almeno uno strumento doveva seguire un certo ritmo, lasciando il resto all’improvvisazione. Riformulare questa canzone in modo da essere più breve (addirittura la metà di quando veniva eseguita live) e renderla capace di reggere ascolti sostenuti, dovendo essere incisa su disco, non fu cosa facile: la canzone fu tagliata e gli assolo ridotti, non senza dispiacere di Syd. Il brano come possiamo ascoltarlo oggi dura 9. 41 minuti ed è l’emblema di un Artista finito troppo presto, che ci lascia questo illustre manifesto di genialità e fantasia, caposaldo della psichedelia, pietra miliare del rock.
3) SEE EMILY PLAY - composta da Barrett nel 1967, già edita su 45 giri. Brano dai sapori freak-psichedelici, con particolare intermezzo atipico di Wright. E’ la rivisitazione di un precedente pezzo della band, “Games For May”, che fu scritto ed interpretato appositamente per il concerto alla Queen Elizabeth Hall del 12 maggio del 1967, durante la serata dei "Free Games For May", appunto. Tralaltro quella sera stessa fu utilizzato per questo pezzo un dispositivo del tutto innovativo: il Coordinatore Azimuth, che veniva azionato da Wright; era formato da due canali, ognuno con una barra di comando, una per il suo organo Farsifa e una per gli effetti sonori. Se la barra era verticale il suono era centrato, ma muovendola diagonalmente avrebbe inviato il suono all’altoparlante nell’angolo corrispondente della sala. In questo modo Wright poteva far ruotare il suono delle tastiere all’interno dell’auditorium, o far sì che un rumore di passi sembrasse spostarsi da un lato all’altro. Ricordiamo di nuovo che siamo nel 1967, e nessun musicista di allora avrebbe mai potuto concepire un’idea simile. I quattro provarono a registrare il singolo ad Abbey Road, ma non riuscendo a riprodurre il suono di “Arnold Layne” ritornarono ai Sound Techniques Studios per ricreare la formula magica. Si dice che durante la session di registrazione del pezzo, il 21 maggio 1967, Gilmour fece visita all'amico Barrett negli studi proprio mentre Syd stava usando il suo effetto preferito, un accendino Zippo sulle corde della chitarra, come se fosse un effetto slide. Il singolo fu pubblicato il 14 luglio e arrivò al numero diciassette della classifica britannica, consentendo così l’esibizione del gruppo a Top of the pops.
4) REMEMBER A DAY - composta da Wright nel 1967, tratta da “A saucerful of secrets”. Canzone dall’arrangiamento quasi anti-Floyd, tant’è che poichè aveva un suono di batteria diverso dal loro solito stile martellante, Mason ne affido l’esecuzione a Norman Smith, il produttore, perché si sarebbe solo dannato inutilmente nel tentativo di ottenere un risultato di quel genere; la voce di Smith è anche in evidenza nei cori. “Remember a day” era stata in origine registrata sotto il nome di "Sunshine" per il precedente album, ma fu scartata durante l'assemblaggio. Va ricordato che in questo brano è Barrett a suonare la chitarra acustica, anche se poi fu ultimato dopo la sua fuoriuscita dalla band. Nel brano sono evidenti le ottime doti compositive di Wright nonché vagiti psichedelici ancora stabili. L’album uscì il 29 giugno del 1968, lo stesso giorno in cui i Pink Floyd suonarono al primo concerto gratuito di Hyde Park assieme a Roy Harper e ai Jethro Tull.
5) PAINTBOX - composta da Wright nel 1967, già edita su 45 giri. Registrata il 15 novembre negli studi di Abbey Road, non fu proprio un successo, a causa forse della scadente qualità di registrazione. D’altronde i Pink Floyd erano appena ritornati da una serie di concerti in America, due giorni prima erano stati a suonare in Olanda e la sera prima era iniziato il “Jimi Hendrix Tour” a Londra (con lo stesso Hendrix e i suoi Experience, i Nice, i Move e altri gruppi), che poi era un “one nighter tour” (consisteva nel suonare ogni sera in una città diversa) e il giorno delle registrazioni di questo singolo sarebbero poi partiti per l’ Hampshire dove avrebbero suonato alle 18. 10, quindi è possibile che il troppo lavoro di quel periodo abbia influito negativamente sulle registrazioni. La canzone, ancora nello stile di Barrett, risente di influenze beatlesiane; è l’aneddoto di un tizio che si ubriaca e cerca di dimenticare le disapprovazioni della ragazza. E’ pubblicata il 18 novembre sul b-side di “Apples and oranges”.
6) JULIA DREAM - composta da Waters nel 1968, già edita su 45 giri. Una delle più belle canzoni mai scritte da Waters, ballata acustica, onirica, dal testo dolcissimo. E’ registrata agli Abbey Roads Studios dapprima il 13 febbraio col titolo provvisorio di “Doren's Dream”, e poi il 23 febbraio con il titolo definitivo “Julia Dream”, con Gilmour alla chitarra. Curiosamente quando uscì il singolo, il 12 aprile, come b-side di “It would be so nice”, sulla copertina era ancora raffigurato Barrett.
7) CAREFUL WITH THAT AXE, EUGENE – composta da Gilmour, Mason, Waters e Wright nel 1968, già edita su 45 giri e presente anche su “Ummagumma-Live album” in versione live registrata al College of Commerce di Manchester , nonché nel “Live A Pompei”. Molto probabilmente si tratta del primo brano composto con Gilmour in formazione. Allucinante. Il grido disumano di Waters introduce in un’atmosfera tetra, sconfinata, a dir poco avvolgente. La ritmica nel complesso lascia percepire un macrocosmo sonoro bidimensionale: da un lato un’eterofonica infrastruttura tessiturale, dall’altro uno stereofonico effetto di profondità dello spazio; indubbiamente la versione in studio gode di un ottimo equilibrio strumentale ed è di gran lunga superiore a quella live, meno corale e rifinita. Strumentale, ancora in stato di evoluzione, fu presentata per la primissima volta col titolo di “Keep smiling people” al Paradiso di Amsterdam il 23 maggio 1968 e fu registrata il 4 novembre negli studi di Abbey Road, con la produzione di Norman Smith; dopodiché nell’ambito di una seduta di registrazione live ai BBC Maida Vale Studios del 2 dicembre fu annunciata come “Baby Blue Shuffle In D Maior”. Infine vide la sua pubblicazione il 17 dicembre col titolo definitivo “Careful with that axe, Eugene” come b-side della più commercialmente appetibile “Point me at the sky”. Eseguita il 19 marzo 1969 alla Royal Festival Hall di Londra nell’ambito di due concept show denominati “The Man” e “The Journey” col titolo di “Beset by creatures of deep” e successivamente rielaborata in versione più breve per il Radio Show Top Gear di John Peel del 25 giugno col titolo di “Murderistic Woman”, è presente anche nella colonna sonora di “Zabriskie Point” di Michelangelo Antonioni del 1970 in versione leggermente differente col titolo di “Come in number 51, your time is up”.
8) CIRRUS MINOR – composta da Waters nel 1968, tratta da “More”. Ballata acustica introdotta da un cinguettio, con la voce di Gilmour a descrivere atmosfere lunari, è eseguita senza batteria e si conclude con l’organo allo stesso modo delle ”Celestial Voices” di “A saucerful of secrets”. Tutto il disco “More”, colonna sonora dell'omonimo film, fu composto in soli otto giorni, nel periodo di Natale del 1968. Il regista Barbet Schroeder offrì 600 sterline a ciascun membro del gruppo.
9) THE NILE SONG – composta da Waters nel 1968, tratta da “More”. E’forse il brano più vicino all’hard-rock mai inciso dai Pink Floyd, con la voce di Gilmour poderosa e ruggente. Il testo è la visione onirica di un bambino che, lungo le rive del Nilo, vede una donna sollevarsi in volo verso il sole. Grezza e toccante. “More” uscì il 27 luglio del 1969.
10) BIDING MY TIME – composta da Waters nel 1969, inedita. Col titolo di “Work” venne eseguita nell’ambito della presentazione dei concept “The man” e “The Journey” per la prima volta il 14 aprile 1969 e poi nella relativa tournee. Registrata negli Abbey Road Studios il 9 luglio 1969, prodotta da Norman Smith, col titolo “Biding my time” fu eseguita dal vivo solo due volte, il 18 gennaio del 1970 ai Fairfield Halls di Croydon e cinque giorni dopo ai Thèatre des Champs-Elyséss a Parigi. E’ un lento blues, con la particolarità del trombone finale suonato da Wright. Tracce di blues saranno riscontrabili di lì in poi solo in “Seamus”. Forse il testo si rifà in parte a Norvegian Wood dei Beatles.
11) BIKE – composta da Barrett nel 1967, tratta da “The piper at the gates of dawn”. Allegra freak-song apparentemente non-sense, fu eseguita per la prima e unica volta dal vivo il 12 maggio 1967 alla South Bank Queen Elizabeth Hall di Londra, col titolo provvisorio di “Bicycle”. Gli orologi sul finale erano contenuti nella collezione di strumenti ed effetti sonori di Abbey Road, abilmente sfruttata dai Pink Floyd sotto la guida di Norman Smith; lo stesso finale ricorda molto “A day in the life” dei Beatles. La voce di Waters è posta in dissolvenza. Il testo è rivolto ad una ragazza, e nella sua purezza può sembrare infantile (ma non è una critica, anzi). Come in “The piper at the gates of dawn”, anche qui viene scelta come undicesima ed ultima track.
L’assenza di brani da “Ummagumma-Studio Album” e da “Atom Heart Mother” può essere spiegata considerando tali dischi come concept-album: l’estrapolare pezzi dal contesto originale avrebbe in qualche modo sminuito il valore dei pezzi stessi. (questa è solo un’ipotesi).
La copertina è un disegno di Nick Mason rielaborato da Storm Thorgenson (ricordiamo che Mason era studente in architettura). Da “Inside Out”: >>Quando cambiammo la veste grafica per la versione digitale di Relics, Storm scelse l’immagine originale che avevo disegnato io per l’album, un omaggio di fantasia a Heat Robinson e Rowland Hemmet, e commissionò un modellino tridimensionale per avere un’idea di come sarebbe stato quell’oggetto se mai fosse esistito<<
Questo disco, ben lungi dall’essere una semplice raccolta, va anzitutto considerato come un omaggio al genio di Syd Barrett, come a dire: “Senza di te noi non ci saremmo, grazie ancora, Pazzo Diamante!”
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