Gruppo storico, gli Yes.
Una storia che comincia nel 1968, con l’incontro tra il chitarrista Pete Banks e il bassista e cantante Chris Squire (dai Syn) con il cantante Jon Anderson (dai Warriors); l’arrivo del tastierista Tony Kaye ( dai Bitter Sweet ) e del batterista Bill Bruford (reduce da esperienze rythm’n blues) completa la line-up per un’interessantissima formazione a cinque che inizia così ad affacciarsi in un panorama musicalmente fertilissimo come la Londra del 1968. Il gruppo si esibisce per alcune serate al Marquee di Londra, forse il locale underground più interessante della City, ed inizia a farsi conoscere ed apprezzare, tanto da essere scelto come spalla per lo storico concerto di addio dei Cream alla Royal Albert Hall nel novembre del 1968.
A quel tempo il rock progressivo stava gettando già le sue solide basi, e gli Yes furono uno dei primi gruppi a coglierne il messaggio, eseguendo musica con influenze a tratti dai gruppi proto-prog dell’epoca (i Nice su tutti), specie nei passaggi classicheggianti, a tratti dal folk (Simon and Garfunkel, Byrds), a tratti dal pop, ma abbinando con gusto anche elementi jazz e psichedelici. Nel primo disco omonimo del 1969 è riscontrabile buona parte di quella musica che riusciranno ottimamente ad evolvere nei dischi successivi, e che li consegnerà all’Olimpo del rock; ma qui comunque siamo ancora in una fase embrionale, con un primo capitolo importante ma in fin dei conti trascurabile nella loro discografia, fatta di alti e bassi. Le idee ci sono, ma sono ancora confuse e non si concretizzano al meglio in quella miscela di suoni che sarà il loro marchio di fabbrica.
Delle otto tracce presenti su questo disco due sono covers di Beatles (“Every Little Thing”, magistralmente riadattata secondo strutture vicine al prog e ampliata anche con richiami ad altre canzoni dei Beatles stessi) e Crosby (“I See You”, più allegra della versione originale); due tracce (“Sweetness” e “Beyond And Before”) sono invece rielaborazioni di brani composti in precedenza dai membri degli Yes, ancora con leggeri vagiti psichedelici. Il resto dei brani porta la firma di Anderson e Squire, con le perle “Harold Land” e “Survival”, che preannunciano i “progressivi” fasti futuri.
Importante notare come il gruppo sia ben compatto sin dall’esordio e non si può dire che abbia mai avuto un vero e proprio leader, anzi la loro forza stava proprio nell’unione e nella compatibilità tra i vari musicisti, un po’ come per i Led Zeppelin; questa sensazione per gli Yes si è avuta anche dopo i vari cambi di line-up, a dimostrazione dell’importanza della “coralità” nel progressive.
Nel successivo “Time And A Word” il gruppo elaborerà il proprio sound sempre più a favore dei canoni progressive, contribuendo alla definizione del genere.
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