Il secondo capitolo della saga "Musick to Play in the Dark" riprende senza tante sorprese il discorso intrapreso dal buon predecessore. Il materiale dei due album, di fatto, sembra essere ispirato dal medesimo songwriting, e probabilmente scaturisce dalle stesse session, cosicché le diverse song risultano perfettamente intercambiabili fra di loro.
Da un punto di vista strettamente stilistico, ci troviamo innanzi a quel pasticcio perverso di elettronica minimale e musica ambientale a cui siamo abituati fin dall'ingresso in pianta stabile nell'organico del tastierista/polistrumentista Thigpaulsandra, collaboratore della band dai tempi dei "The Solstice and Equinox singles".
Pure da un punto di vista concettuale, il discorso è ripreso in tutto e per tutto: la luna campeggia ancora in copertina e continua a costituire il tema ricorrente dell'opera, felice rappresentazione di una musica misteriosa, gelida, visionaria, sensuale e dal forte potere suggestionante, che si pone l'intento programmatico di avvolgere l'ascoltatore, sapientemente sdraiatosi su un letto nel buio della propria cameretta, e generare nella sua mente immagini e visioni suggestive, sfruttando la vulnerabilità e di labilità mentale che lo stato di dormiveglia comporta.
Se si volesse a tutti costi trovare una differenza fra i due lavori, si potrebbe certamente registrare un generale affievolimento della componente rumoristica/avanguardista a favore di una maggiore attenzione alla melodia, impressione data per lo più dalla massiccia presenza della voce di Balance, che torna a cantare, seppur in modo piuttosto minimale, in più di un episodio, decretando un parziale ritorno alla formato canzone. La media della durata delle song si viene leggermente a ridimensionare (questa volta sette pezzi per meno di un'ora di durata), ma lo schema rimane quello predominante nel lavoro precedente: libero ed improntato su fraseggi ambientali, sui quali si vanno ad innestare i diversi elementi che caratterizzano la poetica della band, voi le voci, quella tenebrosa di Balance e quella angelica di Rose McDowall (qui chiamata a sostituire la sua omonima Drew McDowall), voi le incursioni di rumorismo digitale e le manipolazioni sonore del sapiente Christopherson, vecchia volpe industriale.
Il sibilare del vento e una voce in loop che ripete allo sfinimento "Something" è il biglietto da visita ideale per introdurci nel mondo onirico e perverso che i Coil hanno allestito per noi. Il lamento sgraziato e sbilenco di Balance ci ricorda con chi abbiamo a che fare. Come era successo nel tomo precedente, il secondo pezzo, "Tiny Golden Books", è una lunga ed estenuante cavalcata dai sapori kraut, dove pare di sentire gli Orb più eterei che si azzuffano con i Kraftwerk più visionari, merito soprattutto di una allucinata prova vocale, in cui l'ugola di Balance viene violentata da un vocoder di teutonica memoria. "Ether" è sorretta da un discreto pianoforte e costituisce una electro-industrial-ballad di buona fattura che non sfigurerebbe affatto in un album come "Fragile" dei Nine Inch Nails. "Paranoid Inlay", altra malinconica lenta, continua sulla stessa falsariga e ricorda da vicino, nei suoi fraseggi spezzati e minimali, i Matmos più introspettivi. "An Emergency" è un breve intermezzo atmosferico in cui la McDowall ci delizia con la sua voce angelica, mentre "Where are You?", con il suo banjo scordato e le oscure narrazioni di Balance ci riporta alle atmosfere torbide e minacciose che caratterizzavano "Musick to Play… 1".
A chiudere le danze, anche in questo caso, è la canzone più bella del lotto: sto parlando della bellissima "Batwings (A Limnal Hymn)", che si apre in maniera decisamente ermetica, riprendendo il sibilare del vento che avevamo trovato all'inizio del nostro viaggio, ma che si fa valere in un finale da vera pelle d'oca, in cui il triste canto di Balance prima si sdoppia e poi si moltiplica in un bellissimo intreccio di armonizzazioni a cappella dal sapore vagamente gregoriano. Un pezzo che, di per sé, vale l'acquisto dell'album intero. Decisamente inferiore al predecessore, costituisce pur tuttavia un esempio di musica libera, personale e al di fuori di ogni schema. Il talento dei Coil nel tessere atmosfere torbide ed inquietanti rimane indubbia, anche se in questo caso il lato delirante e perverso viene leggermente smussato in favore di un'attitudine più riflessiva e malinconica.
A mio parere il tutto viene portato avanti con minore intensità ed ispirazione che in precedenza, con l'effetto di lasciare l'ascoltatore un tantino indifferente in più di un frangente, ma comunque mai insoddisfatto. C'è chi preferisce di gran lunga questo secondo episodio al primo, questione di gusti, e per questo, nel dubbio, pur meritandosi secondo me non più di un 3.5, gli assegno un bel 4, anche per stimolare l'acquisto dell'intera accoppiata, che va vista come un'opera unica le cui parti sono inscindibili fra loro.
Buona notte, ed incubi d'oro.
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