Il genere "Gothic", si sa, è uno di quei filoni musicali tra i più sfruttati e gravidi di band. Che poi queste siano più o meno valide, è un fatto che dipende più che altro dalla loro capacità di riproporre una "ricetta" ormai digerita e metabolizzata, ma aggiungendoci ingredienti che riescano a renderla anche più appetibile, se possibile, rispetto a quanto i fans già hanno ascoltato in precedenza.
Così, di fianco ai chiamiamoli così, tre "pilastri" fondamentali di questo genere, e che corrispondono ai primi Anathema, ai Paradise Lost del medio periodo e agli odierni My Dying Bride, si sono affiancate band che, più o meno, storte o dritte che siano state, hanno saputo rielaborarne i canoni e le armonie. Molte (ma non tutte), sono riuscite a suggerne anche qualcosa di originale, di realmente originale intendo, magari pure donandogli qualche elemento innovativo, cosa che non gusta mai. E così, oltre ai tristissimi violini, alle surreali e catastrofiche sensazioni di solitudine, ai growl laceranti, sono andati aggiungendosi via via, pure tanti altri piccoli segni che hanno segnato le tappe di un progresso musicale che, ai più potrebbe sembrare mai mutevole, ma che per certi versi ha saputo conservare il suo spirito primigenio, andandosi a saldare e a coniugare, per esempio, con le cadenze del Doom, o con le ferali e assassine atmosfere del Death.
Ecco, i Draconian sono un calzante esempio di quanto il Gothic possa essere assunto come un genere derivato ma non limitativo, fatto di chiaroscuri, a volte pure di catacombali umori, ma sempre dati in una chiave triste e dolce che non fa che aggiungere fascino a fascino alla loro musica.
Spendo solo un paio di righe per confutare le tesi di chi ha scritto o detto che questo disco non rappresenta proprio nulla né di nuovo, né di originale; che non è altro che qualcosa di trito e ritrito, che è noioso ed esasperante, ecc. ecc. A me queste considerazioni non interessano: questo album, per conto mio, è splendido. Non come la loro seconda opera, "Arcane Rain Feel", certo, che rimane ad oggi il loro capolavoro insuperabile. Ma se non ci arriva vicino è solamente per il fatto che questo non è un vero e proprio disco inedito, avendo nella sua scaletta ben tre brani estrapolati dal loro primo disco e rimasterizzati (rispettivamente "Serenade of Sorrow", "The Morningstar" e "The Gothic Embrace"), più due cover, rispettivamente "On Sunday They Will Kill The World" degli Ekseption e "Forever My Queen" dei Pentagram.
Dunque un giudizio completo non lo si può dare, almeno a livello globale. Ma, nei nuovi tratti che la band ha impresso ai tre brani nuovi, c'è indubbiamente il senso di una classe abbastanza forbita e che sa essere triste nel modo giusto, tragica nel modo giusto ed oscura altrettanto. Una progressione nei suoni e nel songwriting è indubbiamente maturata con questo nuovo disco, ed il confronto, utile in tal senso, tra le vecchie e le nuove canzoni, risulta essere alquanto ostico. Forse perché i primi Draconian erano più marziali e dediti alle sonorità Heavy, quelli di oggi invece più votati ad un'aurea di stampo malinconico che molto dona loro.
Verosimiglianze con altre band ce ne sono eccome. La prima che mi viene in mente è quella con i Saturnus, band gioiello dedita ad un Doom/Gotico raffinato ed etereo, ma anche se l'orma è palese, ciò non significa che sia un plagio. E canzoni come "She Dies" o "The Morningstar" lo stanno a dimostrare.
Come d'obbligo, ascoltando questo genere di musica, occorre che ci si armi del giusto umore, e di parecchi ascolti, ma nemmeno tanti, per poterne apprezzare le sfaccettature, ma che cosa si potrebbe pretendere di più da una band che di sensazioni angosciose e sublimamente tristi ne dona a iosa? Anzi, c'è da dire che le canzoni, pur seguendo una struttura abbastanza lineare, fatta di inizio triste, pianoforti "sospesi in aria" che riecheggiano, centro abbastanza ferale e finale minimale e dolce, centrano appieno dove vogliono colpire.
E a me, che volete, a me che ormai son vecchio di queste cose, ascoltare queste elucubrazioni prende sempre al cuore. Forse ne va a scapito l'obiettività, ma tant'è. Nessuno è perfetto.
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