Soave e struggente.

Un viaggio dove si resta immobili, una melodia che ci trasporta più vicini di dove siamo partiti, una meta tanto facile quanto agognata. Noi stessi.

I My Sleeping Karma ci regalano questo, e ci lasciano intravedere qualcosa che per un disco è tanto semplice quanto illuminante, talmente conosciuto da lasciare perplessi.

12 pezzi lungo i quali perdersi e ritrovarsi, nei quali il quartetto tedesco ci prende per mano accompagnandoci in una passeggiata magica che inizia con la lunga ed idilliaca "Ahimsa" e si snoda tra varie tracce e 5 "Interlude" che collegano tutte le perle della collana che è questo "Satya" e sottolineano come esso sia in realtà un unico pensiero tradotto in musica, una riflessione senza pause ma traboccante di commoventi melodie.

La title-track è un fluttuare di note liquido ed etereo dentro al quale galleggiare lasciandosi condurre dentro al nulla, mentre ancora più dense di emotività sono le atmosfere di "A Staya", dove gocce di musica si spalmano su di un sottofondo elettrico ed arpeggiato.

"Svaatanya" nasce se possibile in maniera ancora più delicata, avvolgendoci in un morbido abito musicale grazie anche alla malinconica e femminile bellezza della voce (per la prima ed unica volta del disco).

"Brachmachary" è forse l'episodio più deciso del disco che non dimentica comunque la poesia caratterizzante ogni suono della band di Aschaffenburg, mentre la successiva "Apangraha" grazie ad un mistico arpeggio di chitarra ci culla lievemente sopra un tappeto tastieristico per tutti i 6 minuti che la compongono.

Si avvicina la fine, e prende forma l'idea di non essere forse mai partiti, quando distratti da una greve pioggia ("Interlude V") veniamo rapiti dalla conclusiva "Sandi", stupenda e toccante col suo incedere lento ma a tratti quasi inquietante che ci fa intravedere la meta conclusiva del cammino intrapreso.

Ma altro non è, forse, che la sfocata estasi di "Satya", più che un disco un perfetto e naturale panismo tra musica e psiche.

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