1997: gli Autechre pubblicano il loro capolavoro, si chiama "Chiastic Slide" e dell'ambient-techno che li fece conoscere al mondo è rimasto poco o nulla. Booth & Brown lanciano uno stile astratto e cerebrale che non ha precedenti nell'allora movimentatissima scena elettronica inglese. "EP7" (Warp, 1999), che in realtà vista la corposa durata (sessanta minuti di soli pezzi inediti) si puo benissimo considerare un'album) segue quella stessa scia, ma risaltandone ancor di più i connotati glitch, i plasticosi poliritmi e la cervellotica sperimentazione digitale. "EP7" è di fatto un'inno all'apparecchiatura digitale, nonchè manifesto artistico massimo di questi nuovi Autechre, laddove i due precedenti "Chiastic Slide" e "LP5" apparivano melodicamente ancora collegati ai primi lavori.
La via la traccia "Rpeg", purissimo sound artificiale, dove tramite tecniche innovative nella manipolazione degli oggetti ritmici, l'utilizzo - da ora in poi prassi - del Max/Msp, nonchè un'uso sempre più complesso dell'eco, i due producono suoni nuovi, intricati e assolutamente mai prevedibili, cercando, e ottenendo, una sperimentazione che mira a non ripetere quanto già esista. In un periodo dove, nel panorama IDM, l'analogico dominava ancora - ma affiancandolo al glitch e al ritmo digitale - (vedi Squarepusher, Boards of Canada, Aphex Twin ecc.) qui, e lo testimoniano perfettamente la nevrosi di "Ccec" o lo swing malato di "Squeller", si fa un'uso pesantissimo di microtoni sinusoidali, sulla scia di quanto invece stanno facendo in quel paradiso di digital-laptop-music che è casa Raster-Noton (Alva Noto, Komet, Ikeda, CoH, Senking, Byetone ecc.), ma che fungono da synth, più che da "segnale" come accadeva sulla leggendaria label tedesca.
Tale tripudio di toni (perchè di toni si tratta - la melodia è ridotta all'osso o al semplice accordo -) e le frequenze subsoniche del basso, che trovano massimo momento espressivo nel break delirante di "Liccflii" (in continua progressione/deturpazione fino a sfociare nel puro noise) e negli squilibrati pantani ritmici di "Netlon Sentinel", generano una sorta di senso incombente di 'apocalissi", un'apocalissi che sfocierà in una nuova era digitale e tecnologica, di cui la musica targata Booth & Brown rappresenta il sottofondo cerimoniale.
Parlando di 'nuove ere tecnologiche' non si puo ovviamente non pensare a tutto quell'immaginario dell'electro futuristica di Detroit, o ai concetti intrapresi dai Kraftwerk: e di electro, e dai più futuristici risvolti, infatti si parla sulla claustrofobia schizoide di "Outpt" e "Left Blank", dove appare per la prima volta il binomio di 'spigolosa ritmica glitchy + soundscape alienoide' su cui sarà largamente incentrato quel capolavoro di paranoia chiamato "Confield", e che tornerà più volte negli ultimi Autechre.
"Dropp" e "Maphive 6.1" presentano i beat più avanguardisti (un kick quasi minimal-techno e detriti di errori sonori, frastuoni industriali, rumore bianco nella prima, tom marziali a-là Test Dept. nella seconda) oltre che gli unici rimasugli della melodia di "Chiastic Slide" e "LP5", con fraseggi soffici e quieti. I quaranta secondi introduttivi di "Zeiss Contarex" (pura e disconnessa tela rumoristica) e lo strano utilizzo di microtoni dissonanti a mò di aereo che decolla sono quanto di più malato abbiano fatto gli Autechre prima dell'avvento della schizzata "Gantz Graf" (e li non ci sarebbe storia!); la piece si assesta poi su territori vicini al cosiddetto abstract-hip-hop (come usuali fare soprattutto nei remix), con un battito lentissimo e monotono fino all'annebbiamento mentale, che comincia a mostrare in modo chiaro tutta l'acquisita osticità e la voluta freddezza dei nuovi Autechre
Il periodo di astrazione e sperimentazioni aformi decollerà del tutto in quello che personalmente ritengo il secondo* capolavoro assoluto della ventennale autechriana creatura, nonchè ultima traccia che di fatto chiude un'era; si tratta di "Pir". Nell'interazione tra l'epica melodia (mai così vellutata, mai così toccante) e le affannate partiture ritmiche (montate, smontate, frammentate, deframmentate e rismontate continuamente) si vogliono salutare del tutto le parvenze umanoidi che ancora si sono viste in questa seconda metà '90, ma che spariranno del tutto con i tre successivi parti (Confield - Draft 7:30 - Untilted), per poi ritornare - anche se con dubbi risultati - da "Quaristice" in poi.
E' praticamente la stessa cosa che faceva "444" su "Incunabula" (che girava sui medesimi accordi e su di un riff similissimo) che con una monumentale tela melodica chiudeva di fatto gli Ae 100 % umani del debutto, per intraprendere quell'evoluzione che si faceva già chiara all'avvio della pulsazione senza tempo nè luogo di "Foil" *(eccolo il capolavoro assoluto - primo brano di "Amber" -) un pezzo che sembrava concepito da qualche misconosciuta entità aliena.
Incredibile, davvero.
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