Di "Amber" si è già detto di tutto e di più, ma raramente approfondendone il punto di vista storico/sonoro, un punto di vista assolutamente non di poco conto, che trascende l'opera per insinuarsi direttamente in oltre un ventennio di musica elettronica dal '94 a questa parte, dato che questo indimenticato gioiello, più di ogni altro album dell'epoca, contribuirà a delineare definitivamente i canoni di quella che oggi giorno viene globalmente riconosciuta come "IDM", genere che, malgrado il calo di idee del nuovo decennio, i nuovi nomi non sempre all'altezza e le numerose storiche etichette decedute, è più che mai vivo e vegeto.
Infatti, a differenza di gran parte dei colleghi inglesi (che magari cambieranno il loro sound soltanto più avanti), gli Autechre sono stati in grado di evolvere la loro creatura sin da subito, appena un anno dopo il non meno fondamentale "Incunabula", e per ben due volte in modo seminale: dapprima "lanciando", o meglio consolidando, proprio l'IDM dalle ceneri del già morente fenomeno ambient-techno, qualche anno dopo - dal '97 al 2005 - con il versante "abstract", versante quest'ultimo decisamente più dedito alla sperimentazione, meno commercializzabile e radicato nel sottosuolo elettronico, che però ancora oggi vanta numerose imitazioni, oltre ad essere ormai l'unico per cui azzardare la parolina "intelligent", al cospetto di un "Intelligent Dance Music" che, arrivati al nuovo millennio, di "intelligent" aveva già ben poco visto l'appiattimento generale e il calo a livello di innovazione. In entrambi i casi i due si sono distinti per una personalità musicale eclettica e all'avanguardia, sperimentando ovunque, dai ritmi soprattutto (rivoluzionari) alle atmosfere (dei più disparati immaginari) alle sempre innovative tecniche di produzione, passando per il rifiuto della forma canzone, lo stravolgimento delle regole musicali, gli artwork e persino i titoli, generati random.
Ad un'orecchio che ha assimilato molta elettronica dai risvolti più sperimentali dell'ultimo decennio (e in particolare robe tecnicamente gigantesche e super-complesse del tipo Richard Devine, Otto Von Schirach, Datach'i, gli stessi secondi Autechre, o le sperimentazioni digitali di Noto, Delay, Bretschneider..) questo lavoro, malgrado suoni ancora terribilmente attuale, potrà probabilmente sembrare datato, spudoratamente novantoso nella sua analogia estrema, nel suo trionfo di Nord Lead e drum-machine della Roland. Non è un caso infatti come insieme ad "Incunabula", "Amber" rimanga l'atto più umano, accessibile, e per l'appunto analogico, del complesso inglese; complesso che farà in seguito dell'apparecchiatura digitale (nient'altro che il cuore della moderna IDM) il proprio cavallo di battaglia.
La sua importanza è comunque elevatissima, dal momento che nell'affollata scena (soprattutto inglese) del periodo abbiamo il pieno boom dell'ambient-techno, sempre più in continuo fermento (Aphex Twin, Future Sound of London, U-ziq, Orb, LFO, B12, Black Dog, Deep Space Network, le case di produzione Warp, R&S, GPR, Rephlex per citarne soltanto una minima parte), sia esso il versante più ancorato alla fiorente techno europea di Joey Beltram, Speedy J & co. (a sua volta ispirata ovviamente dalla già sviluppatissima scuola Detroit) e alle due warp-compilation "Artificial Intelligence" - (LFO, B12, The Black Dog), quello collegato all'ambient (Aphex Twin, The Orb, The Irresistible Force, Biosphere) o alla sperimentazione e un sound generalmente più eclettico, personale e difficilmente catalogabile (Future Sound of London, Mouse on Mars, i tedeschi Atom Heart e Oval, Alec Empire, gli stessi Autechre). Senza contare il fatto che molti dei nomi qui citati viaggiavano già da una 'categoria' all'altra - mostrandosi musicalmente aperti e affidandosi spesso a svariati pseudonimi a cui attribuire determinate direzioni (è soprattutto il caso di Aphex Twin e Atom Heart). In pratica, in una scena così movimentata e in via di definizione, la sigla "IDM" rimaneva più che altro un termine "teorico", ancora piuttosto ancorato alla serie "Artificial Intelligence" della Warp e al trittico concettuale nascita-sviluppo-origini etimologiche del genere, piuttosto che ad un vero e proprio sound distintivo che vedrà soprattutto nelle uscite riguardanti la seconda metà degli anni novanta (quando l'ambient techno era già un lontano ricordo) gli esempi più limpidi.
Il fulcro del tutto è che con l'avvento di due-tre dischi in particolare, ma "Amber" su tutti, si tratterà proprio di un sound distintivo, e non un genere - ed è anche per questo che il buffo termine verrà ripudiato da molti artisti del settore - come puo essere invece terza musica elettronica ben delineata (techno, electro, drum'n'bass ad esempio). Parliamo dunque di un non-genere? Quasi: attualmente si puo parlare di IDM infatti per molteplici casi, ma tutti accomunati dalla produzione generata tramite mezzi elettronici (siano essi sintetizzatori d'annata, drum-machine, pad d'effettistica, laptop, ambienti di sviluppo come il Max/Msp, plugin all'avanguardia e VSTi di ultima generazione) ma che difficilmente riescono ad essere "inquadrabili" in uno dei pur numerosi generi col medesimo procedimento facenti parte la dicitura 'musica elettronica', come lo era invece l'antenata ambient-techno, almeno nella sua prima forma, che altro non era che quella che inizialmente veniva chiamata IDM (ma per questione di promozione) e che sonstanzialmente, tolti i pochi che stavano già sperimentando, non faceva che agglomerare i ritmi, le melodie cristalline e l'anima visionaria della techno detroitiana ai paesaggi rarefatti della musica ambientale.
Non si tratta di un qualcosa di "non inquadrabile" perchè sperimentale di natura come possono esserli (incatalogabili + sperimentali) i primi ispirati lavori di un Nurse With Wound (la maggiorparte dell'IDM è ovviamente incentrata su un certo livello, elevato o minimo che sia, di sperimentazione, ma pochi - gli Autechre sono tra questi - hanno sperimentato a livello 'totale' rendendosi spesso incatalogabili), piuttosto perchè, malgrado possano esservi piccoli richiami secondari (ad es. Aphex Twin-acid/ambient / Squarepusher-drum&bass/jazz) non affonda le radici in nessun determinato contesto socio-teorico-musicale, affidandosi alla sola creatività artistica senza paletti alcuni (ovviamente parlando di cose dalla personalità 'unica' come i qui trattati, e non semplici cloni - bravi ma pur sempre cloni - come ISAN - sorta di triste replica dei Boards of Canada); motivo per cui in un "confronto" più o meno totalitario tra artisti/etichette/periodi rientranti nella cosiddetta etichetta "IDM" possiamo trovarvi artisti dai più disparati tratti stilistici, spesso diversissimi tra di loro (dalla sperimentazione ritmica degli Autechre, a quella melodica dei Boards of Canada o quella breakkosa di Venetian Snares).
Tale sound distintivo, che si evolverà verso le suddette molteplici strade - solo in parte anticipato in vari bozzetti sul precedente album [Incunabula è una parola latina che sta per 'qualcosa in via di sviluppo', decisamente appropriata per quanto seguirà qui], deve tutto o quasi proprio ad "Amber", (e, certo, prima e dopo da altre idee sparse in vari lavori/artisti che contribuiranno ad anticipare determinati "concept", soprattutto Aphex Twin per quanto riguarda un certo tipo di "approccio melodico" o Squarepusher per quello, più recente, incentrato sui breaks ultra-elaborati). Ma se la serie "Artificial Intelligence" aveva dunque tracciato la via, e i sovraccitati le scorciatoie, è invece questa release a delineare del tutto un vero e proprio 'modus operandi' che lancia una sorta di 'dettame tecnico' - comunque lunge da diventare clichè altrimenti non parleremmo di IDM - che consiste nell'evoluzione del beat (adesso non più un battito di drum-machine vicino alla techno, bensì ritmiche complesse che fanno del glitch, della sonico-processazione stratificata, del tempo dispari, e in generale nell'uso del suono meno scontato possibile il loro fulcro) e della sezione melodica (che diviene sempre più di difficile decifrazione, sempre più un mezzo per creare un determinato 'scenario' - soggettivo e non - più che il mero motivetto, al fine di creare territori mentali e piece più adatti all'ascolto attento e trasportante, o al trip cerebrale più che al pezzo ballabile adatto anche al contesto pista come poteva ancora esserlo un pezzo ambient(techno) dei primi novanta (si pensi ad esempio a "Didgeridoo" di Aphex Twin, classico sia della techno che dell'ambient-techno). In tal senso la celebre questione 'brain-dancing' di quest'ultimo, o la copertina della seminale compilation "Artificial Intelligence" col suo robot comodo sulla poltrona intento ad ascoltare questa nuova 'elettronica d'ascolto' con accanto i vinili di Kraftwerk e Pink Floyd, inizialmente concepita da casa Warp come un elettronica da dopoclub, una trovata pubblicitaria, è abbastanza esplicativa.
Che poi la situazione si sia espansa a live set, concerti laptoptronici e forme nettamente più ballabili è ovviamente un altro discorso, ma è appunto sugli albori di questa realtà che ci siamo soffermati in queste righe, per mezzo di un'introduzione tutt'altro che superflua, dal momento in cui essa non vuole spiegare dell'enciclopediaca origine in quanto tale, ma concentrarsi piuttosto sul binomio sound/evoluzione in generale, binomio abbastanza articolato e qui limitato ai soli Autechre, ma più che mai fondamentale al fine di comprendere, o rivalutare, appieno un'album che influenzerà ancora oggi molta elettronica moderna.
E' dunque il caso di passare al lavoro in quanto tale, e non vi è miglior riassunto di quanto detto che il capolavoro assoluto della carriera degli Autechre: la prima pulsante "Foil", un pezzo che sembra prodotto da entità aliene e che sin da subito mostra sia le nuove direzioni intraprese, sia la sperimentazione adesso più evidente. Non è quindi un caso come da queste prime note si possa già notare un suono di gran lunga più freddo e meccanico rispetto agli epici soundscapes su cui si basava "Incunabula": dal geniale sali-scendi con continuo cambio di tonalità dell'ipnotico riff analogico (sorta di roulette russa del suono) scaturisce un senso di paranoia e abisso che sarà piuttosto presente nella produzione di questi Autechre particolarmente "darkeggianti" (basti pensare alla simile "Rsdio", sul successivo "Tri Repetae"). Sulle nervose ritmiche in terzina di "Montreal" - che suona avanti di una decina d'anni - si possono già intravedere timidi esempi di quello che sarà il loro sound da "Chiastic Slide" in poi, ossia ritmiche complesse e disarticolate che rappresenteranno il marchio di fabbrica del lato più astratto; il grosso carico di effetti timbrici (phaser, flanger, riverbero, eco) su tutto il pezzo regala un senso di 'spazio indefinito' molto interessante (ritrovato sulle tele visionarie di "Further"), mentre melodicamente parlando, cosiccome accadrà più avanti sulla tenue "Slip", sulle vibrazioni emotive di "Nine" e quelle distanti e catacombali di "Yulquen", la traccia resta invece piuttosto ancorata ai dettami della calda techno incunabulosa, con gli usuali tappeti di analogia ambient.
"Silverside" costituisce l'altro capolavoro del disco, una piece sinistra che a distanza di diciassette anni riesce ancora a suonare futuristica; dagli archi minacciosi, quasi vicini al dark-ambient, prende vita, sepolto tra il delirio organico, un campione vocale alieno (merito di un pioneristico lavoro sul sample soprattutto tonale e di decomposizione strutturale che verrà più volte riproposto da altri artisti) che va e viene (mutandolo e de-mutandolo continuamente) cercando di farsi spazio sul beat solido, che porterà via via, con un incredibile progressione che ricorda i viaggi cosmici dei Tangerine Dream, al consolidarsi di terze dimensioni psicofisiche. "Glitch", all'apparenza nulla di trascendentale, 'lancia' un altra cosa fondamentale in quel determinato ambiente, ossia l'utilizzo di una tecnica conosciuta come bitcrushing - per la verità già usata nell'hip hop ma in modo differente - che consiste nel ridurre la qualità del suono processato (in questo caso il synth) ricampionandone la risoluzione, producendo così un suono sporco, pseudo-distorto e 'rovinato' di considerevole impatto (per capirci si puo sentire ciò sul classicone "Alberto Balsalm" di Aphex, uscita un anno dopo); qui il beat è ossessivo come nel più classico ambient techno, ugualmente per i cimbali e percussioni ricche di riverbero, ma l'interazione col riff "ridotto" è notevole al fin di creare un mood terzo-dimensionale ancora una volta avanti per la sua epoca; anche il titolo è in un certo senso profetico, essendo il bitcrushing tecnica familiare alla glitch-music (rappresentando, appunto, un errore sonoro, altrimenti detto "glitch"), sia essa la prima forma targata Oval, sia il glitch minimale-experimentale-digitale dei giorni nostri (raster noton et similia).
L'andamento detroitiano di "Piezo" è preludio al solito campionario di sperimentazione ritmico-riempitiva, con numerosi suoni inusuali assolutamente imprevedibili ad un primo ascolto, mentre certe soluzioni sulla monumentale "Nil" e l'ipnotica "Teartear" anticipano quanto verrà fatto su "Tri Repetae", ossia il perfetto connubio dei due lati autechriani (quello melodico degli esordi, quello ritmico degli anni a seguire) oltre che propinare progressioni ambient degne di Eno nella prima, ritmi più adatti ad un disco industrial nella seconda.
Quante volte si puo leggere "innovativo" o "innovazione" o "anticipare"? Inevitabile per una delle opere più influenti che la storia ricordi. Questo è ciò che generalmente viene definito Genio. Questa è la sperimentazione.
Questa è l'elettronica.
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