Ogni tanto, mi capita di pensare «Miii, che botta di culo che c'ho avuto!».

Prendete ad esempio la musica: miii, che botta di culo che c'ho avuto a nascere nel 1971, così ho potuto vivere in consapevole diretta gli anni Ottanta, gli Husker Du ed i Violent Femmes, i Dream Syndicate ed i Feelies, i Giant Sand ed i Died Pretty, il passo d'addio dei Clash e la rinascita dei Ramones ...

Ed ascoltare i primi vagiti dall'underground italiota, che poi stanno qui dentro, nei due volumi di «Eighties Colours» datati 1985 e 1987, voluti da un Claudio Sorge uno e trino, mentore dell'etichetta Electric Eye, del mensile Rockerilla e della fanza Lost Trails.

È vero che, magari, non nasce proprio in questi solchi il rock italiano alternativo, ché già c'erano stati segnali di vita sparsi (Not Moving su tutti), ma la scena invece sì, quella nasce e si compatta proprio con «Eighties Colours».

Conviene anzi tutto sgombrare il campo dall'equivoco che vuole «Eighties Colours» come il manifesto del garage revival tricolore: mica vero per lo stile, perché, come annuncia il titolo, in questi dischi si mischiano tutti i colori della musica italiana degli anni Ottanta (e sono tantissimi e vivacissimi); più vero per l'attitudine, che è per tutti quella dei gruppi con un piede in sala d'incisione e con l'altro ancora in cantina.

I Sick Rose, tanto per dire, diverranno gli alfieri del garage-punk internazionale con la pubblicazione di «Get Along Girl» e «Faces» ma la «Do You Live In A Jail» che apre le danze li mostra scassati ed urticanti come se fossero alle prese con un demo, ed è un antipasto succoso di quello che seguirà poi.

Che poi i Sick Rose esordisono in realtà con uno split diviso con i conterranei Out Of Time, e dentro ci stanno pure loro. A conferma della variegata colorazione del rock targato «Italia ‘80», considerate proprio Sick Rose ed Out Of Time, fianco a fianco in sala di registrazione: da un lato, garage punk in stile Texas 1966 filtrato attraverso il sentimento beat dei Crawdaddys; dall'altro uno splendido jingle jangle sospeso tra i Byrds alle prese con un qualsiasi pezzo del signor Zimmerman ed i R.E.M. di «Murmur» e così viene fuori quella delizia che è «Have You Seen The Light Tonight».

In mezzo, poi, ci stanno i Party Kidz: da infarto la loro «Nothin' Changes» che frulla in maniera vorticosa beat e mod ed ha dei coretti (hey whoo ho ho ho, hey whoo ho ho ho) che ti fanno uscire fuori di testa e chi non li ha sentiti all'epoca non può capire, ma pure oggi fanno il loro porco effetto.

A seguire, e calmare le acque, la psichedelia onirica di No Strange (ancora in giro, fuori da poco «Cristalli Sognanti», grandi!) e quella disturbata dei Double Deck Five.

Se non l'avete ancora capito, qui vi beccate un trec-bai-trec lungo quattro facciate viniliche: e qui siamo solo alla fine della prima!

Perché poi comincia il lato B, e siamo al delirio totale: uno dietro l'altro, Technicolour Dream e Birdmen Of Alkatraz, una dietro l'altra «Vinyl Solution» e «Song For The Convict Charlie»: la prima è, semplicemente, la più grande canzone psycho-garage partorita in quel decennio fuori dagli Stati Uniti; la seconda è quella che convinse Greg Shaw ad offrire ai Birdmen un posto nelle «Battle Of The Garages». Due gruppi immensi, che porranno le basi del movimento neo-psichedelico continentale, semi da cui fioriranno formazioni del calibro di Pale Dawn, Magic Potion e Steeplejack. E qui scatta automatico il miiii ...

E si finisce a scatenarsi al ritmo di Four By Art e Pression X, sulla stessa lunghezza d'onda dei Party Kidz, giusto con più marcati accenti mod i primi e garage i secondi; ed anche in questo caso, chi non ha mai urlato a squarciagola « And now I know I failed to fall / And now I know I failed to fall in love» non capisce lo stato di eccitazione che quest'etto di vinile ti mette addosso. Oggi, però, ai pischelletti gli è andata bene solo perché c'è un Pinhead a seganalare ‘sti capolavori immani su DeBaser e qualche anima pia a linkarli sul web.

Il finale è affidato a Paul Chain che riaccompagna tutti nei territori di No Strange e Double Deck Five, lasciando una sensazione immarcescibile: quello che resta tra le mani è un disco da riascoltare all'infinito, con la consapevolezza che questi dieci gruppi e questi dieci brani hanno iniziato a scrivere una storia importante e che durerà a lungo ...

E qui finisce il lato B ed «Eighties Colours».

A frappé con il volume 2!

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