Attendete speranzosi il primo disco dei Wildhoney, cinque guardascarpe di Baltimora che al loro terzo EP abbandonano le spigolosità hard-swirliesiane dei precedenti, pure buoni, lavori sulla breve distanza, scelgono la via dell'etericità e della riverberazione e si consacrano quest'anno tra le matricole più interessanti della scena. Auspichiamo che restino fedeli alla linea tracciata dai primi Whirr e che non firmino mai per RunForCover e non inizino ad indossare immaturi cappellini. Tre canzoni, una decina di minuti: il charleston-tamburello in apertura di Seventeen e il tremore whammy fanno pensare al lato freakettone e Ringo Deathstarr del gaze ma le chitarre privilegiano le alte e il lavoro di plettrato rapido, guardando più alle abusate atmosfere post-rock ma riuscendo a rielabolarle in formecanzone dal sound abbastanza peculiare; basso pesante e distorto e in primo piano ma non snaturato e sempre nel suo; strutture semplici ma non per questo piatte, tra crescendo d'intermezzo e code di feedback, per parti vocali cristalline e dritte che trovano il massimo dell'elaborazione nelle armonizzazioni a due voci f-f di Soft Bats, capace anche di stacchi bruciacchianti. Ascoltare con fiducia nell'avvenire loro e nostro.

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