Che Dio salvi i TheBuckle. O che perlomeno li tenga lontani da mode e quant’altro possa renderli “contemporanei”. Questo power trio di Alba mi hanno stupito non poco, sembra quasi non ascoltino musica dagli anni ’70 tanto sono fuori tempo. Il loro è un amore viscerale per l’hard-rock e lo stoner più cazzuto, quello che non ha quindi nulla a che vedere con ciò che viene spacciato per tale dai Queens Of The Stone in poi. Loro si sono salvati da tutto ciò, unendo tutti quegli elementi che fino a trent’anni fa facevano felici orde di rockers dalle chiome fluenti in sella ad Harley-Davidson o chiusi in garage a sistemare la propria Mustang. Ecco questi tre musicisti me li immagino proprio così, persone dalla forte personalità capaci di andare oltre quanto va per la maggiore concentrandosi solamente su ciò che amano. Ecco quindi un esordio omonimo che tutto sembra meno che il disco di un debuttante. Suoni ruvidi, a tratti nervosi, quel mood malato che alla lunga ti entra inesorabilmente in testa e un cantato psicopatico che funge da perfetto apripista a quello che è a tutti gli effetti un gran bel disco. Il bello dei TheBuckle è che oltre a essere “hard” (musicalmente a tratti mi riportano alla mente i primi Entombed) sanno anche essere catchy – a modo loro ovviamente – tramite strutture melodiche che ben si amalgamano alle distorsioni che frequentemente entrano in gioco. Prendete come esempi brani come “Sick” e “Bad feelings” pesanti al punto giusto ma non per questo privi di quella che – a modo loro – potrebbe essere definita melodia. A dare il giusto tocco retrò al tutto non poteva poi mancare la produzione, volutamente grezza e priva di ogni diavoleria tecnologica tanto in voga oggigiorno. Duri e puri, un ritorno alle origini che di tanto in tanto serve. Nostalgici e rockers vecchia scuola a me, questo è il momento di dare una chance a una band meritevole d’attenzione.

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