Gris gris: nel Vodun (o Voodoo) talismano o incantesimo utilizzato per proteggere chi lo possiede dalle forze maligne, o per arrecare danno a terzi.
Voodoo ossia New Orleans, patria del blues del Delta, della cucina cajun e paradigma della fertilità propria dell' incontro/scontro fra differenti culture.
I Gris Gris ben riflettono con la loro musica il luogo da cui provengono. L'album, uscito sul finire dello scorso anno, è una perla di sincretismo musicale, per come riesce a fondere fantasmi del passato (Gun Club, 13th Floor Elevators e primi Floyd), a culti pagani attualissimi (rumorismi chitarristici liminari a certi Sonic Youth).
Il tutto intriso da un'aura sepolcrale e spiritica propria delle pratiche Voodoo.
Fondatore e frontman della band è Greg Ashley, plausibile ricettacolo terreno del Baron Samedi, il cui timbro vocale sembra evocare, o meglio "dissotterrare", presenze passate (Roky Erickson) e trapassate (Elliott Smith?), pur rimanendo al contempo personalissimo elemento distintivo della band. Suddette presenze sono spesso più che aleatorie apparizioni, sembrano realmente possedere il nostro con ultraterrena veemenza; un esempio su tutti Everytime, riuscitissima fusione fra i 13th Floor Elevators sottilmente inquietanti di Rollercoaster, i Pink Floyd di Interstellar Overdrive, un Morricone in acido e la sigla della Famiglia Addams. Il tutto registrato su un otto piste dentro un ossario (il seminterrato dello stesso Ashley), scelta fondamentale per la resa catacombale dell'album.
Puzzano di cadavere difatti le due composizioni più lunghe, entrambe intorno agli 8 minuti, l'iniziale Raygun e Best Regards; la prima una ballad noise acustica che improvvisamente si trasfigura in un voodoo stomp blasfemo, odorante di zolfo; la seconda caratterizzata da una ossessiva linea di basso e da un theremin sulfureo, inframezzata da feedback selvaggi e dalla cantilena vocale di Ashley.
Nota di merito anche per Me Queda Um Bejou, vero tributo alla cultura meticcia locale, in cui convivono chitarre rurali delle swamps, cacofonia rumorista, melodie aperte e un sax caldo e narcolettico. Anche negli episodi più formali, quali Necessary Separation - un torrido R&B tributo all'estetica delle band di "Back From The Grave" - e Mary # 38 - dolente ballad per organo, chitarra e poco altro - Ashley dimostra come sia importante possedere una buona dose di talento e originalità per attingere a fonti classiche del panorama rock senza risultare una patetica imitazione delle stesse.
I due conclusivi brani acustici nulla tolgono e nulla aggiungono al valore dell'album, che rimane comunque un intelligente e stimolante connubio fra vecchio e nuovo, oltre che un tributo ai colori e alle musiche della New Orleans meno solare, ma di sicuro non meno affascinante.
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