Dopo quasi vent'anni di ascese e cadute, di tonfi e meravigliose resurrezioni, anche la carriera solista del più tormentato e inaffidabile dei grandi cantautori americani giunge con New York a un punto d'arrivo. La stabilità non è mai stata il punto forte del nostro. Col passare degli anni lo abbiamo visto prima 25enne maledetto e avanguardista, poi con "Transformer" 30enne tossico compiaciuto perso nel glam più easy listening; poi ancora il 40enne di "Blue Mask" intenzionato a rifarsi una vita, ripulito da eccessi e droghe che riparte da uno stile tutto suo con testi intimisti, suoni introversi ma pronti ad un'aggressività mai sentita prima.
E gli anni'80, così disastrosi o appannati per molti artisti della sua generazione, sono stati un ottimo periodo per Reed, che ha potuto dare finalmente un segno di continuità al proprio percorso di "riabilitazione", divertendosi come non mai (vedi il gustoso "Live In Italy"), mettendosi a nudo con singolare sincerità ("New Sensations" può essere un buon esempio), permettendosi piccoli passi falsi (tipo "Mistrial" che comunque è lontano abissi da flop alla "Rock And Roll Heart" o"Sally Can't Dance") o un piccolo e commovente gioiello come "Legendary Hearts". Non potevamo quindi chiedere di meglio che iniziare il nuovo decennio con 14 appunti di diario dedicati all’amata città natale, "New York". Lou mette a frutto la lucidità acquisita negli anni precedenti per raccontarci con passione e poesia, ironia e rabbia la vita sua e di tutti coloro che come lui per scelta o per amore convivono nella Grande Mela. Gioie e dolori, drammi privati o speranze universali: una sensibilità incredibile che sa usare a suo piacimento dolcezza o sarcasmo per dipingere e ricordare quell'agrodolce e dubbioso 1990 a tutti quelli che non c'erano. C'è spazio per Mike Tyson e l'AIDS, per la paternità di Lou (un brano acustic-jazz che si intitola "The Begin Of The Great Adventure" dovrebbe spiegare tutto da solo), per la protesta da rocker stagionato ma incazzato ("There Is No Time"), per crudi racconti d'amore urbano (una "Romeo Had Juliette" che ovviamente non ha nulla da spartire con quella dei Dire Straits).
Musicalmente Reed decide di optare per ciò che sa fare meglio, creando un suono rock senza tempo, quasi tradizionale, cristallizzato nei suoi immediati intrecci di chitarra tra Lou e un grande Mike Rathke, resi godibilissimi nella loro apparente spontaneità e semplicità. In realtà è l'intera band a sentirsi a proprio agio seduta intorno al proprio leader, con scambi di sorrisi sornioni, con un calore e un'intesa eccezionali in ogni evoluzione ritmica, un grande affiatamento affettivo e tecnico tipico delle registrazioni in presa diretta. Anche se il rock viene presentato in tutte le sue evoluzioni (dall'heavy metal al folk, dal blues al country, e altro ancora), lo scopo non è stupire o rinnovare ma plasmare uno stile più maturo, energico e potente, che fa forza sul classico per poter giocare la creatività su deliziosi dettagli sonori. E la formula riesce, perché l'album sembra quasi eterno, senza possibilità di datazione o di invecchiamento, così perfettamente e puramente rock da non diventare mai obsoleto: potrebbe essere uscito anche quest'anno.
Forse chi può rimanere un po' deluso è il fan del Lou Reed più leggendario, fuori controllo e fuori dagli schemi, smalto alle unghie e capello ossigenato. Qui il "rock'n'roll animal" non si è calmato, ma semplicemente ha seguito la propria maturazione umana, diventando un saggio signore di mezz'età depurato da farse o pseudo-ribellismi. In molti hanno concluso che questo è il capolavoro di Reed, io personalmete ho amato forse ancor di più il Reed malinconico e fragile di "Berlin" o quello ingenuo e istintivo di "Coney Island Baby", ma penso che ognuno abbia il Lou Reed che si merita. Questa è sicuramente la sua opera più compatta, omogenea, perfetta (se mai potrà esser definito perfetto un disco di Lou), schietta. E da allora il junkie boy non ci ha mai deluso, invecchiando dolcemente tra concept sulla morte, riunione dei VU, ecstasy e corvi. Umanamente uomo.
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