Se con il precedente lavoro i Gris Gris avevano esplorato con negromantica maestria l'humus musicale voodoo di New Orleans, con questo secondo album la band si avventura fra i cactus della natia Austin in Texas, ripercorrendo a ritroso il percorso psichedelico già battuto dai padri (13th Floor Elevators su tutti) ma andando oltre. L'unica pecca riscontrabile in “For The Season” è quella di essere un'opera che a volte travalica il confine fra filologico e nostalgico, ossia fra una rielaborazione sincera e spontanea di un sound e una sua eccessiva e quasi ossequiosa riproduzione speculare. Ma la bravura dei Gris Gris sta proprio nel superare tale confine solo in pochi frangenti, lasciando anche l'ascoltatore più aduso al sound degli anni '60 spesso stupefatto di fronte alla caleidoscopica varietà di buone carte presenti nel mazzo dei Gris Gris.

Se, come detto, il referente principale della loro musica rimangono i 13th Floor Elevators, molta altra carne viene messa sul fuoco dai nostri lungo l'album: garage alla Chocolate Watchband, influenze tex-mex, gospel, folk stralunato, primi Pink Floyd, fino a Captain Beefheart. E proprio con un'improvvisazione strumentale degna del Capitano si apre il disco: dal caos sonoro di "Ecks Em Eye" emerge uno stomp garage dai toni apocalittici, che fluisce senza pause nell'outro "Peregrine Downstream". La prima metà del disco è difatti un concept in cui le tracce si susseguono una come continuamento dell'altra: "Cuerpos Haran Amor Extrano" è una indolente ballata condotta da chitarre twangy e organo floydiano, "Down With Jesus" una ode solare ad un Gesù pagano strafatto di peyote, "Big Engine Nazi Kid Daydream" lascia riposare il salvatore sulla veranda mentre la band lo culla con tanto di banjo. Culmine del disco è la successiva "Year Zero", frutto postumo della mente allucinata di Roky Ericson, con organo e chitarra che si rincorrono in un refrain memorabile, interrotto da un excursus psichedelico degno di "Astronomy Domine". La restante metà dell'album non si rivela inferiore, mandando in collisione canzoni d'amore prese da Grease ("Medication #4") con allucinate nenie spaziali ("Skin Mass Cat"), gli Stones in acido ("Pick Up Your Raygun") con del folk orchestrale dal sapore indiano (la titletrack).

Musica quindi senza nessuna pretesa di attualità, profondamente e orgogliosamente vecchia, ma che, col suo essere al di fuori delle mode, le trascende, guadagnandosi un alone di eterna atemporalità.

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