Da un po' di anni a questa parte il ruolo delle riviste nel prefigurare nuove tendenze e nuovi filoni musicali sembra affievolirsi irrimediabilmente, sovrastato e sorpassato dalla massiccia (e gratuita) presenza di molteplici siti web, del file sharing selvaggio e dei milioni di blog che si aprono ogni giorno. Se da un lato siti, blog e compagnia scrivente forniscono all'appassionato musicofilo un punto di vista molteplice e scevro da logiche economiche verso la miriade di offerte presenti nel congestionato panorama musicale odierno (un po' il ruolo che avevano le fanzine fino a fine anni '80), dall'altro disorientano proprio per la loro varietà, di valore e di giudizio. E, aggiungo a titolo personale, sviliscono il fascino tattile della parola scritta, sostituendolo con la vacuità dello schermo a cristalli liquidi. Oramai è grazie al passaparola on line che band misconosciute riescono a ritagliarsi i famosi 15 minuti di popolarità, vedi Clap Your Hands And Say Yeah e l'ultima (supposta) next big thing, gli Arctic Monkeys. Tale sorta è toccata anche agli svedesi Dungen, entrati nelle grazie dell'influente webzine Pitchforkmedia. Pur non avendo scoperto un gruppo che cambierà la storia della musica, quelli di Pitchfork sono riusciti a far conoscere una band la cui scelta di cantare solo in scandinavo avrebbe reso assolutamente invendibile al di fuori del suolo natio.
L'alchimia dei Dungen poggia su solide basi tecnico strumentali, che permettono alla band di coprire un ampio spettro di influenze musicali, databili fra la fine dei '60 e l'inizio dei '70, con qualche puntata diacronicamente posteriore. "Ta Det Lugnt" alterna, con etica progressive (nell'accezione positiva e propositiva del termine), momenti pop alla Pet Sounds, accelerazioni hard rock alla May Blitz, divagazioni psichedeliche pregne di chitarre liquide e tastiere spaziali, spessevolte centrifugati all'interno dello stesso brano ("Panda" e l'impronunciabile quarta traccia). Da segnalare anche la caleidoscopica titletrack, organo e chitarra fuzz in primo piano e outro jazz psichedelica a base di sax; l'incalzante e percussiva "Bortglömd" e le altrettanto impronunciabili tracce 6 e 7, eccelsi strumentali fra i Pink Floyd di Umma Gumma e i Motorpsycho di Let Them Eat Cake.
L'effetto del cantato in lingua madre può essere uno scoglio, ma se per voi dieresi, pallini sulle A e divieti di O non sono un problema, e le vostre scarpe preferite sono le Clark, questo disco vi calzerà a pennello.
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