42 “canzoni” (???) in 27 minuti ? Possibile ? Certo, sotto il nome tutelare di John Zorn tutto è possibile. Traendo ispirazione dal grind dei Napalm Death almeno quanto dal free Jazz di Ornette Coleman e anche dalla musica classica contemporanea in certi episodi (profano e sacro mescolati assieme, verrebbe da pensare) John Zorn forma i Naked City, avvalendosi del prezioso supporto di musicisti del calibro di Bill Frisell, Yamatsuka Eye (Boredoms), Joey Baron, Wayne Horvitz, senza il cui contributo difficilmente si sarebbero potuti raggiungere tali traguardi.
Il risultato è evidente già da questo loro primo disco; nella musica dei Naked City ogni influenza, ogni singola idea viene sviscerata e portata fino all’esasperazione, e proprio questa loro peculiarità fa si che, a distanza di quasi venti anni, rimangano il side project più singolare della storia della musica.
E’ sicuramente difficile parlare di un album del genere; questi 42 pezzi sotto il segno della cacofonia e del rumore più spietato spiazzano l’ascoltatore più che altro per la loro ferocia, che non conosce attimi di tregua; un’attitudine, questa, che coi successivi lavori “Naked City” e “Grand Guignol”, verrà un attimino smorzata. Tutto quello che rimane dopo l’ascolto del disco è una serie di flashback sonori, un flusso astratto di note che note non sono che continua a riecheggiarci nella testa senza una logica, proprio come accade con le immagini dopo aver fatto indigestione di opere futuriste; già, quando, chiudendo gli occhi dopo aver sfogliato un atlante delle opere d’arte, ci sembra di intravedere ancora vaghe forme delle quali però non si riesce ad identificarne i colori o la loro precisa collocazione nello spazio. Ecco, se sono riuscito a trasmettervi questa intensa sensazione audio/visiva, credo di esservi riuscito a dare una vaga idea di quello che questo disco dalla grandissima carica inventiva e visionaria rappresenta, ovvero un’operazione dissacrante sia nei confronti della forma canzone – a cui in linea di massima il rock ed il metal sono ancora indiscutibilmente legati – sia nei confronti del bigottismo reazionario di molti jazzisti tradizionalisti.
Da citare almeno qualche pezzo dal titolo se non altro bizzarro: “Sack of shit”, “Thrash Jazz assassin”, “Perfume of a critic’ s burning flesh”, “Jazz snob eat shit”, “Igneous ejaculation”, “Pigfuker”, “S&M sniper”.
Consigliatissimo agli ascoltatori dalla mentalità più aperta, agli appassionati di free jazz quanto a quelli di grind-core, nonché ai cultori della avanguardia musicale in ogni sua forma.
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