"I'm a Freakey Styley and I'm proud" cantava in un modo stralunato un Anthony kiedis parecchio fuori di testa nella title track di questo album che sembra scorrere al rallentatore...

L'anno è il 1985 e i peperoncini sono reduci da un album che ha fatto acqua da tutte le parti per quanto riguarda le vendite e la EMI non è proprio contenta (a seguito dell'insuccesso commerciale di anche quest'album verrano passati all'EMI MANATTHAN), così pensa bene di assecondare le richieste dei Peppers: viene reclutato il padre della funkadelia George Clinton!! In più per scazzi interni al gruppo se ne va il chitarrista Jack Sherman e torna l'amico di sempre, nonchè originale chitarrista dei Red Hot, Hillel Slovak.

A questo punto il gioco sembra fatto, si tratterà sicuramente di un vigoroso disco funky rock!! E invece no... I nostri si sentono completamente liberi e Clinton li aiuta ad esprimere il meglio di loro stessi (è lì per quello dopotutto), così le vite sbandate di Kiedis & Co. vengono direttamente a contatto con l'ascoltatore. Non è un album funky in senso stretto, è qualcosa che va al di là di ristrette classificazioni, perchè ripeto, la libertà impera in questo disco. Tutto inizia con "Jungle Man" che non è altro che il super creativo talentuoso Flea (al secolo Michael Balzary). Ecco, questa traccia musicalmente ci fa comprendere cosa si respirerà in questo disco: stranezza.

La voce di Anthony è un misto tra cantato e rappato, il basso è slap puro, la chitarra è essenziale sottofondo ritmico e la batteria di Cliff Martinez è quasi tribale in certi punti. Stramba, soprattutto l'intermezzo che sembra spuntar fuori dal nulla. Poi è la volta di "Hollywood" che è una cover dei Meters (l'originale si chiama "Africa") ed è a dir poco spumeggiante soprattutto per il carisma di Anthony e i fiati che fanno apparire il tutto molto James Brown; ma c'è qualcosa che rompe l'armonia : il basso!!! Eh sì signori, qui il basso cattura l'attenzione di tutti per quel giretto fuori di testa che è messo particolarmente in rilievo nel bilanciamento dei volumi. Poi c'è "American Ghost Dance" che riassume la prima e la seconda traccia del disco dando un pò di movimento che però sembra fermato da una barriera che dà la sensazione di rigidità, fenomenale il giro di basso comunque. Queste a mio parere insieme a "Freaky Styley" e a "Blackeyed Blondie" sono le canzoni manifesto dell'album.

Questo disco colpisce per la varietà dei generi proposti, si passa dal funky al rap, dallo speed rock ("Catholic School Girls Rule" e Battle Ship") alle filastrocche ("Thirty Dirty Birds"), che però sono contraddistinti da un indelebile marchio di stranezza che è dovuto, bisogna ammetterlo, in gran parte all'uso di droga. Un disco che può piacere o no ma che è estremamente interessante e inusuale.

Questi erano i Red Hot Chili Peppers dell'epoca, e a me piacciono un casino.

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