A volte capita di assistere ad avvenimenti che lasciano senza parole, che per un effimero momento ci fanno dimenticare di tutto il resto, delle difficoltà, delle incombenze, degli screzi, dei problemi. Quelle frazioni di secondo in cui ci si sente appagati con l'universo, quando tutto sembra scivolare via e nonostante un mondo difficile, si ha come la consapevolezza che tutto possa andare. Non so se vi è mai capitato di essere aggrovigliati da una rassegnazione benigna che ti toglie le forze e la voglia di agire. E' quello che sono tornato a provare dopo aver ascoltato "Bridge" (titolo convenzionale), terzo album dei Red House Painters, cioè l'invenzione di Mark Kozelek, dopo un'infanzia passata tra gli asettici corridoi di un centro di recupero per tossicodipendenti.

E' rassegnazione quella di "Red House Painters II - Bridge". Kozelek sputa tutto il suo lirismo nero in 8 tracce desolanti quanto necessarie, specchio perfetto della sua interiorità asfissiata dalla consapevolezza che nulla può cambiare. Tutto questo non viene espresso solo tramite slowcore, folk o musica d'autore. Viene espresso attraverso l'arte, quella che in pochi possono dire di aver compreso e prodotto. Che sia l'arte decadente di "Evil" o l'aria frizzante e allo stesso tempo dolorosa di "Bubble" poco cambia. E' musica intesa nel suo senso artisticamente più appagante e la sua sublimazione massima, "Blindfold", rimarrà una gemma scolpita nei cuori e nella mente di tutti coloro che avranno il coraggio di scoprirla, apprezarla e custodirla. Perchè perle del genere ti restano dentro per tanto tempo e per motivi disparati, legate ad un ricordo, una parola, un gesto...

1. "Evil" (7:20)
2. "Bubble" (5:31)
3. "I Am A Rock" (5:32)
4. "Helicopter" (5:22)
5. "New Jersey" (4:24)
6. "Uncle Joe" (5:58)
7. "Blindfold" (8:25)
8. "The Star Spangled Banner" (2:28)

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