Cane. Gorilla. Serpente.

Questo disco ha la fedeltà di un cane.

Fedele, perchè riesce a mantenersi sugli splendidi binari che già avevano caratterizzato le precedenti uscite dell'omonimo esordio (2000), di "Troncomorto" (come il quartiere padovano dove sono nati e cresciuti, 2002) e del favoloso "Amazing!" (2005). È un lavoro semplice, ridotto all'osso: chitarre/batteria (no bass) e una ritmica che taglia, sferruzza, spinge, pulsa. Post-punk venato di accelerazioni hardcore, brani brevissimi, tiri terrificanti da due minuti-due minuti e mezzo al massimo, se non di meno, da subirsi in un colpo per poterne sentire la potenza sottocute. (Essenziali) testi in inglese, smozzicato alla bell'e meglio, con una pronuncia sì fallace, ma pregna di un vigore e di una ciclicità infuocata. Una trappola da cui non si può uscire e a cui, francamente, non si potrebbe rinunciare così facilmente. Dieci pezzi per venticinque minuti totali.

Fedele, perchè circolare: parte con un intento, si chiude con la completazione dello stesso. Down-tempi incalzanti, massacrati di bacchettate, trovano fine in down-tempi incalzanti, massacrati di bacchettate ("Atmosphere"). Coerenza fino alla nausea, ma la nausea è l'ultima cosa che può sovvenire, eccetto la noia: inserti elettronici che gorgogliano ed evaporano, lasciando intravedere frotte di riff pronti a scatenarsi ("Everybody"). Nessuna spiegazione, nessuna complicazione: potrebbe essere altrimenti? "You stay up, you stay down, don't make me nervous/ Go straight up to the door, you know the answer".

Questo disco ha la possenza di un gorilla.

Dietro le pelli non c'è un uomo, non c'è un batterista: c'è Matteo Di Lucca, un gladiatore. Uno che non ama lasciare l'ultima parola agli altri. E coglie ogni occasione per esplicarlo all'ascoltatore. Ogni colpo sui tamburi è una dichiarazione, un intento di guerra, un assalto alla baionetta: finchè va bene. Altre volte, invece, la bacchetta si trasforma in un panzer, pronto a fare fuoco, salvo poi accelerare secondo per secondo in un finale convulso e muscolare (i tribalismi di "Beastie"). Oppure, ecco che una base chitarristica nervosa e ricca di stop & go (qualcuno ha detto forse Fugazi? Sì, corretto) viene mitragliata da un esercito di paradiddle del tutto autonomi, un'incontrollabile invasione percussionistica, veloce e ferina, per pirotecnici d'antan ("The Kingdom Rules", la migliore del lotto). Una presenza che non traspira solo robustezza, ma anche un certo grado di inventiva e regolarità, fra le sei corde che sbuffano e gemono mentre si rincorrono l'un l'altra (l'autoironica "Help Me!", con percosse da fabbro). I've got an enemy in my shoes, too.

Questo disco ha la velocità e l'intelligenza di un serpente.

Stupisce come i Redworms' Farm, nell'impasto minimale della loro ormai assodata formula, riescano comunque ad inserire sempre nuovi elementi esterni che diano un po' di colore all'identità finale. Ai tre piace svariare, anche se spesso non gli viene consentito più di tanto, come succede in "Devo", per metà tributo alla sfigatissima band americana degli anni '80 e per l'altra metà brano electro-funk un po' moscio, sulla scia di Atari e Disco Drive. Ma certo non ci si può perdere d'animo così facilmente: la bellissima "Forty Two" -citazione presa direttamente da "Guida galattica per gli autostoppisti" di Douglas Adams- è un sibilante duello fra le due chitarre al compulsivo dettamo di "hitchiker's guide", con inserti di sax (suonato dall'ottimo Manuel Fusaroli) e tromba a sfrondare un accenno di catarsi sul finale. "Rhytm Is A Dance", cantavano pochi anni addietro, ora forse direbbero un qualcosa che assomiglia a "Rhytm Is (A) Law". Meglio ancora va a "Less Is More", velocissimo e scoppiettante post-hardcore tra Jesus Lizard e Sonic Youth tutto in crescendo, coronato dal vocoder, o a "Kill My Brother", spigolosissimo garage-funk sorretto da un riff terremotante.

Infine, cane, gorilla e serpente si ritrovano, si guardano e si riuniscono in una sola immagine zoomorfa. Ci salutano, compatti e determinati, con "Whatever For Us" dove, chiaramente, ci indicano che "Dig in the underground, we wanna stay in the underground/ Things can be dangerous, we wanna stay in the underground" - underground, s'intenda, come hinterland, non come scena indipendente - ed intanto sezioni ritmica e chitarristica mulinano e pestano come non mai.

Cane is Pierre Canali who plays guitar and vocals. Gorilla is Matteo Di Lucca who plays drums and vocals. Serpente is Marco Martin who plays guitar and vocals.

"Cane Gorilla Serpente", Redworms' Farm, A.D. 2007. They are returned, ready to R.O.C.K.

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