Immaginatevi un teatro di bassa lega, in un qualche sobborgo inglese.

I posti sono scomodi, stretti, non funzionano nemmeno tutti i riflettori, ma mancano soldi e tempo per sostituirli. Sommerso come sei da una folla che emana un odore rancido di alcool e sudore, è difficile dire se riuscirai a goderti qualcosa dello spettacolo.

E invece, appena quella chioma rossa inizia a sfiorare i tasti del pianoforte, tutto sembra andare bene, tutto torna a posto: non c'è tempo per tristezza, per pensare ad altro, liberate le vostre menti, spettatori, qui c'è posto solo per buon umore, tanto colore, sorprese a non finire e gioia per tutte le età!

Se i più attenti lo vorranno, anche la possibilità di andare a ricercare, dietro questa baraonda, il retrogusto profondamente amaro nascosto nei testi, fatto di bambini persi nel Bronx, pianoforti che, nella povertà, diventano legna per il fuoco, politici affetti da un insaziabile appetito per il potere, persone costrette a dire addio alle proprie radici e icone religiose che annunciano l'arrivo di un figlio serial-killer.

Ma perché preoccuparsi, perché farsi del male, perché avere paura di un mondo, in fondo, così remoto? Lo spettacolo, anche in mezzo alle vostre lacrime, alle vostre grida strazianti, andrà avanti, fino a quando quella ragazza non alzerà le mani dal suo strumento.

Fino all'ultimissima nota.

Questo è quello che vidi dai posti a buon mercato.

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