Partiamo dalla copertina: un curioso animale che ha le vaghe sembianze di un felino su sfondo arancione. Quel titolo: "Monster". Avevano promesso un album rock, ed è di rock che si nutrono le tracce di questo ruspante e vigoroso album, assorbendo un po' di tutto: grunge, hard rock, psichedelia, persino soul. La voce di Michael Stipe è sempre la stessa, ma il sound del gruppo è mutato abbastanza da restare sorpresi. Non più l'intimismo barocco e sognante di "Automatic For The People": abbandonati del tutto gli arrangiamenti fantasiosi ed eclettici di quell'album, ciò che rimane è un solido scheletro rock. E i R.E.M, sorpresa sorpresa, dimostrano anche di saperci fare.

L'anthem di turno non può che essere "What's The Frequency, Kenneth?": distorsioni, ritmo incalzante, tremolio psichedelico e le solite liriche "arty" di Stipe trasformano la canzone in un singolo di successo. Incertezza, apatia, rabbia: tutto ciò è ben in mostra nella canzone, e in effetti procedendo nell'ascolto ci si rende conto di come l'album si trasformi man mano in un contenitore di umori sempre più cupi: l'hard-glam ombroso e decadente di "Crush With Eyeliner" (con la partecipazione di Thurston Moore), dove le strofe vedono protagonisti la voce filtrata di Stipe e il tremolo tetro e minaccioso di Buck, il bizzarro e decisamente fuori luogo synth-pop rivestito di chitarre di "King Of Comedy", la rampante cavalcata a tutto gas di "Star 69" e la depressa ballata soul "Strange Currencies" (quasi un clone di "Everybody Hurts") sono tutte intrise della malinconia che accompagna la produzione del gruppo fin dagli esordi, ma qualcosa è cambiato: le liriche di Stipe adottano la stessa tecnica quasi collagistica evidenziata negli anni precedenti, ma qui il suo approccio è molto più in linea con il sarcasmo e l'ironia "hip" degli anni '90, fino a rendersi quasi cinico e minaccioso nell'ossessiva "I Took Your Name" (paranoica digressione sul furto d'identità) nella doorsiana "Circus Envy" e nella morbosa fantasia voyeuristica intrisa di sonorità orientaleggianti di "You". La commossa e distorta elegia elettrica di "Let Me In" è invece dedicata a Kurt Cobain, grande amico di Stipe e ammiratore della band.

Come dire: un restyling in piena regola, peraltro riuscitissimo. Nei '90 andava di moda per i mostri sacri degli anni '80: così gli U2 con le loro infatuazioni techno-industrial, così i R.E.M con le loro sbandate rock. In entrambi i casi, considero i risultati più che buoni, e così una sorpresa come questo "Monster" mi è assolutamente gradita. Potenza del rock, o potenza di una band capace di reinventarsi e rimettersi in discussione? Un album di rottura, col proprio passato innazitutto, all'ascolto del quale molti hanno storto il naso, ma al quale bisognerà riservare più di un cenno quando i R.E.M saranno ormai una reliquia (fra circa venti anni, più o meno, a partire da adesso).

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