Dal diario di Ser Pibroch, 15 settembre

Penso che forse potrei staccare qualche minuto dall’elaborato della tesina, perché comincia a pesarmi. Fuori è un sereno sabato di settembre inoltrato; il sole illumina e riscalda il prato e le piante e la casa ed i miei pensieri.

I miei pensieri, già, quadro impressionistico della mia anima. Ho voglia di un’esperienza impressionistica, sì; penso che ora ammirerò di nuovo “Ashes Are Burning”, quadro contorto e bellissimo dei bravissimi “Renaissance” seconda maniera (esposto per la prima volta al la “Regal Zonophone” nel 1973) e poi finalmente vi dirò cosa ne penso. Sì, farò proprio così.

Mi trovo ancora una volta a voler parlare di emozioni, perché tali sensazioni io spesso e volentieri cerco nella musica. Ed ecco che, tra il serio del gran lavoro della ritmica ed il faceto delle armoniche che si inseguono, “Can You Understand” accompagna per quasi dieci minuti in una sorta di dolce tempesta, ove la via da percorrere è quella indicata dal faro della voce – bellissima – di Annie Haslam.

Sagge note di pianoforte sorreggono ora la delicata melodia di “Let It Grow” prima che essa, protetta dalla nitida batteria percossa da Terence Sullivan, divampi dapprima in note molto alte ed ammalianti e subito dopo in un intenso richiamo corale di grande suggestione: “ottima ballata”, direbbe il critico laconico poco critico e molto laconico. “On The Frontier” vede la bella Haslam duettare con un contraltare di voce maschile tirata al limite pur di non rimanere indietro; ne esce un ariosa canzone ove si riconoscono i fattori che conferiscono immediata riconoscibilità al suono della “mark II” (mi si perdoni il richiamo profondo e violaceo): il gioioso pianoforte di John Tout incastona un basso pulsante ed efficace e cori carichi di enfasi.

Ma è tempo, ormai: pochi accordi di chitarra e tastiera sfuggente, cantato da brividi; “Carpet Of The Sun” è una ballata che bisogna ascoltare, almeno una volta. Il clavicembalo è una trottola impazzita, le note delle tastiere volano altissime, quasi stridule, il violino è una cometa in cielo. Più in alto ancora, l’astro della voce della Haslam; meraviglia.

Note ora cupe risuonano però da quel piano sofferto, la nebbia sale dall’oceano e la malinconia del porto risuona nel crepuscolo, ipnotico canto di ragazza. “The Harbour” è un’altra piccola perla in sospeso tra l’aria pungente ed il vento che sferza la costa. Questo malinconico paesaggio, scheletro di storia, è infine cenere ancora ardente; “Ashes Are Burning”, appunto. Il basso di Jonathan Camp persiste lungo gli undici minuti del brano con evoluzioni e cavalcate rabbiose supportate dalla fanteria che marcia sulle pelli; le tastiere sono braci iridescenti, l’acustica di Michael Dunford plasma accordi striduli, sghembi, efficaci. Un solo posto pare sicuro, la Haslam cavalca veloce verso di esso. Il castello progressivo accoglierà ancora una volta la sua chioma bionda mentre il cielo della notte si tinge di granata.

Di notte, attraverso le lande ora desolate, la si sente ancora cantare; è un canto melodioso e toccante. Poi si sente un accordo cupo e prolungato accudire una chitarra lancinante che geme nelle tenebre, finché l’aurora – marcia felice di batteria - tornerà a svegliare il mondo.

Ecco, ho scritto qualche parola, confusa impressione della mia mente. Fatevele piacere o dimenticatele, l’importante è che vi siano.

Dimenticavo, la chitarra lancinante: le leggende raccontano appartenesse ad Andy Powell della Contea di Wishbone Ash, ospite al castello progressivo mentre le ceneri bruciavano.

Quanto a me, giacché si parla di astri, posso infine solo esprimermi con le stelle. Cinque stelle, come Cassiopea o la Croce del Sud. Cinque stelle come l’Hotel Fürstenhof od il gelato della Sammontana. Cinque stelle come forse avrebbe meritato anche Sheherazade.

Carico i commenti...  con calma