Seppur stiamo parlando di un genere incredibilmente variegato come il prog, c'è una componente che accomuna quasi tutte le band del genere, sia se parliamo di Jazz-Addicted, folklore, space-rock, sperimental, e compagnia cantante: il vocalist. Nonostante alcuni gruppi in menzione utilizzano i propri cantanti con il contagocce (soprattutto parlando di alcuni dei rappresentanti della scena Canterburiana come i Camel e la 2° reincarnazione dei Caravan, gli Hatfield and The North) , o addirittura, non utilizzano vocalist (da citare assolutamente, in questo ambito, i primi due lavori degli Henry Cow), il genere maschile al canto è un comun denominatore insindacabile... nonostante ciò, c'è l'eccezione che conferma la regola: i Renaissance.
Nati dalle ceneri degli Yardbirds, i Renaissance hanno più volte mutato la loro lineup, prima di raggiungere la formazione di maggior successo; ciò è accaduto dopo i primi due album, quando, dopo l'ennesimo ribaltone, viene ingaggiata Annie Haslam, vocalist capace di raggiungere, ancora oggi, note vocali altissime; il suo canto si sposa alla perfezione con il processo artistico della band, capitanata dal chitarrista folk Michael Dunford (poi passato al ruolo di compositore ed arrangiatore a discapito di Rob Hendry), dal pianista John Tout e dal batterista Terence Sullivan. Nasce così la formazione di maggior successo dei Renaissance, che esordice con Prologue (1972, Sovereign), seguito a ruota libera da Ashes Are Burning (1973, Harvest Records), con l'ennesimo cambio di lineup, dovuto all'eliminazione della chitarra elettrica, che ha portato al rientro alla chitarra di Dunford.
Il cambio di sound tra Prologue e Ashes Are Burning non è così marcato come potrebbe sembrare, nonostante l'eliminazione della chitarra elettrica entrambi gli album risultano fortemente influenzati da melodie piuttosto pulite che richiamano ai grandi della musica classica come Debussy, Albinoni, Bach ed altri, senza andare a ricercare atmosfere tenebrose o violente; ci troviamo di fronte quindi, ad un gruppo progressive puro, le ritmiche rock sono solo accompagnate da batteria e basso, l'utilizzo di assoli di chitarra elettrica o di accelerazioni improvvise di metronomo sono appannaggio di altre band, non certo dei Renaissance, ma ciò non equivale al dire che troviamo solo ballate et similia... è un gruppo dai ritmi anche piuttosto veloci, canzoni come Prologue e Can't You Understand possono rendere chiarissimo il concetto.
Con Turn Of The Cards (1974, Sire), siamo arrivati probabilmente alla maturazione definitiva del gruppo: il risultato è un album multiforme, ognuna delle sei canzoni ci regalerà un atmosfera diversa, nessuna sarà identica alla precedente, seppur non riusciremo ad intercettare un brano che possa brillare al cospetto dei rimanenti; spesso questo aspetto musicale viene visto come un punto debole, ma nel caso di questo LP, possiamo tranquillamente dire che la varietà delle canzoni è, in realtà, il suo vero punto di forza.
Il lato A ci viene presentato con due composizioni medio-lunghe che spaziano tra l'epicità di Things I don't Understand, e l'allegria e spensieratezza di Running Hard, intervallate dalla breve ballata I Think Of You, dal forte sapore malinconico marcato dalla chitarra folk di Dunford. Già le prime tre traccie ci fanno capire che stiamo parlando di un album che sciorina forme musicali in continua mutazione, ma il bello verrà con il lato B.
Cominciamo subito forte con un pezzo considerato, a pieno merito, uno dei masterpiece del gruppo: Black Flame è un brano che parte sornione, per poi sfociare nelle note medievali del ritornello, che nonostante vengano accompagnate dalla soave e altisonante voce della Haslam, si prestano alle nostre orecchie in maniera piuttosto forte, merito anche della chitarra di Dunford. Il pezzo successivo cambia completamente registro, con la drammatica Cold Is Being: per farvi capire meglio la drammaticità che può trasmettere questo breve, ma intensissimo brano, ipotizziamo che voi conosciate l'Adagio in G Minore di Tommaso Albinoni, ora metteteci l'incredibile voce di Haslam che ci canta di un atmosfera quasi da "apocalisse", metteteci un inquietante organo, ed avete uno dei pezzi più drammatici mai scritti; se non conoscete l'Adagio di Albinone, beh, sappiate che si tratta di una delle melodie più serene, ma tristi, di sempre, solo che i Renaissance hanno reinterpretato questa melodia eliminando totalmente l'effetto serenità. Con Mother Russia si ritorna all'epicità ascoltata ad inizio album, con ritmi nettamente più incalzanti delle canzoni precedenti, intervallati da brevi momenti di apparente tranquillità e da epici cori intonati della Haslam; una canzone che riesce a dare incredibilmente il senso di "gelo" rappresentato dal testo del brano.
Siamo arrivati alla fine di un LP ricco d'ingredienti ed emozionante, forse il loro miglior lavoro, un acquisto obbligato per tutti gli amanti del Progressive: se conoscete già i Renaissance, e non siete ancora a conoscenza di quest'opera, è arrivato il momento di scoprirla; se invece siete amanti della musica, e non avete mai sentito parlare dei Renaissance, dovete assolutamente rimediare.
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