Questo volume del Touring Club Italiano è un libro misconosciuto, trovato per caso in una bancarella dell'usato. Scomodo da maneggiare, grande quanto breve, rivestito da una scarna copertina grigia, tutto sommato un brutto ornamento per una qualsiasi libreria. Qui Pechino non è solo un libro didattico, pieno di fotografie e ornamenti grafici (diverse scansioni di immagini intagliate su carta, tipiche della Cina), orientato ad informare chiunque sia interessato alla Capitale del Nord da noi conosciuta come Pechino, ma è inoltre, grazie alle osservazioni di Renata Pisu, un significativo documento sulla Cina antecedente la morte di Mao, sul suo nuovo modo di concepire la società, la vita e la cultura. La Cina che emerge da questo libro è un paese rivoluzionario, non solo di nome, ma per la sua concezione di uno stato nuovo: uno stato socialista dove si afferma che il progresso va al di là dell'industrializzazione, dove il benessere è posto in antitesi al consumismo. Seppur sia notato da pochi, la Cina delle comuni popolari è stato il primo stato marxista a guardare il positivismo in maniera critica, non giudicandolo più la risposta necessaria a ogni esigenza dell'uomo; è il primo paese dove la diffidenza per le gerarchie diventa centrale, vedasi La linea di massa teorizzata da Mao, facendo crollare l'idea che gli intellettuali abbiano necessariamente idee superiori rispetto all'uomo che lavora in fabbrica o nei campi. E' una Cina indipendente dal pensiero occidentale e da quello sovietico, un paese che elogia Stalin per il suo ruolo storico ma che ha il coraggio di alzare la mano e dire: "I tempi sono cambiati: lo sviluppo non significa urbanizzazione, giunta a sinonimo di alienazione, ma ritorno alle campagne." Addirittura, continuando questa lettura ideale, si arriva alla conclusione che "in Cina la città tenderà a scomparire", riportando alle mente la lettura radicale del maoismo che negli stessi anni prese piede in Cambogia.
Ricolmo di curiosità data la sua natura illustrativa, ad esempio sulla particolare architettura di una Pechino perfettamente orientata a Sud (basti aprire Google Earth per averne la prova visiva), con la Città proibita posta di spalle al Nord a causa del timore spirituale per le invasioni da settentrione, il libro, dietro i suoi aneddoti, cela anche altre e più profonde informazioni. Partendo da lontano, la Pisu riporta le idee di diversi sinologi, i quali osservano come la Cina imperiale avesse l'aspetto di un microcosmo: in ogni casa la Cina intera, la Cina intera come una grande casa; nonostante le rivoluzione comunista, nonostante le nuove idee di quella Cina del 1976, il microcosmo, "il grande giardino", ha mantenuto la stessa struttura: studenti che finite le scuole medie vengono mandati, obbligatoriamente, a svolgere un periodo di lavoro nei campi o in fabbrica, allo stesso modo i funzionari governativi sono chiamati, a turno, allo stesso obbligo; una Cina dove le fabbriche sono organismi aperti, dove le famiglie e i turisti entrano per guardare come lavorano gli operai, dove le comuni agricole ospitano centinaia di persone e ogni giorno ne giugno di nuove a studiarne la prassi, perché "ignorante è chi non conosce i cinque cereali". Ogni cosa è interconnessa all'interno di una grande casa, dove la separazione fra città e campagna viene da tutti scongiurata.
Renata Pisu, la quale all'epoca aveva già vissuto molti anni in Cina, parla di tutto questo senza elogio né condanna; sono totalmente assenti commenti ironici sulle politiche del regime, a differenza che in altri saggi dell'epoca sul mondo comunista (vedasi "Russia" di Enzo Biagi, il quale, per forza di cose, aveva l'occhio di un turista), permettendo a chi legge di ricercare un senso all'interno di una società così diversa dalla nostra. E' uno spaccato interessante, dicevo, perché oggi la Cina di Qui Pechino non è in antitesi soltanto all'occidente metropolitano, ma sembrerebbe una società distante anche agli odierni cinesi: il rifiuto del consumismo, la diffidenza per la produzione in serie, la ricerca di un'alternativa all'industrializzazione, la volontà di produrre un uomo nuovo disinteressato al guadagno, tutto questo, nel 2018, non esiste più neanche ad Oriente. Qui Pechino è una testimonianza significativa, una piccola perla che merita di essere letta non tanto per elogiare o criticare il regime di Mao Tse-tung, ma per gettare un occhio ideale a una società radicalmente diversa da quella immobile in cui viviamo.
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