"Ero al buio. C'era umidità. Silenzio. Poi, di colpo, qualcuno ha acceso la luce. Non so se dopo mi hanno lavato. Poi ho visto la mia mamma. Bella, bellissima. Era il 14 luglio 1940. Era il giorno della mia nascita"
Inizia così l’autobiografia di Renato Pozzetto,“Ne uccide più la gola che la sciarpa”, edita da Rizzoli. Attore, comico, cabarettista, cantante, sceneggiatore, regista, Pozzetto è tra i principali esponenti di quella comicità esilarante figlia del cabaret lombardo della prima ora.
A cinquant’anni dal primo di settanta film e a tre anni dall’ultimo (“Lei mi parla ancora” di Pupi Avati), esce questo libro, che è il dovuto omaggio ad una carriera straordinaria.
Protagonista fin da subito, è la storica amicizia di Renato con Aurelio “Cochi” Ponzoni, con il quale ha condiviso buona parte della sua vita, anche professionale. Le famiglie dei due amici, sfollate a Gemonio durante la guerra, vivono a stretto contatto un rapporto di complicità totale, regalando al racconto aneddoti esilaranti. Con il rientro nel capoluogo lombardo, il duo si tuffa nella Milano dei locali off, delle osterie e dei circoli operai: il Bar Gattullo, con il “Dogui” e le improvvisazioni tra la gente tramite “l’Ufficio Facce”, passando per l’Oca D’Oro e le nottate tra fette di salame e canzoni sulla mala. E poi le esibizioni al “Cab 64” ne “Il Gruppo Motore” con Enzo Jannacci (storico amico di Renato), Lino Toffolo, Felice Andreasi e Bruno Lauzi, che porteranno allo storico “Derby”, che presenterà poi ufficialmente al grande pubblico il duo “Cochi&Renato”.
Con la collaborazione di Jannacci nascono pezzi indimenticabili come “Canzone intelligente”, “La gallina”, “E la vita, la vita”.
Poi arriva la televisione. Il contratto con la Rai vuole Cochi e Renato davanti alle telecamere come conduttori e protagonisti, portando in scena la comicità poetica e originale propria del loro cabaret. Condurranno “Quelli della domenica”, “Il buono e il cattivo”, “Il poeta e il contadino”, “Canzonissima e vino” e “Whisky e chewing gum”.
Un’amicizia, quella tra i due inseparabili soci, che non sarà scalfita neppure dalla nascita dello storico rapporto tra Pozzetto e la settima arte, che abbraccerà successivamente anche Ponzoni.
“Per amare Ofelia” è il film d’esordio di Renato, che darà il via ad una carriera cinematografica frenetica, con una media di quattro film ogni anno in uscita nelle sale italiane. Il picco arriverà negli anni Ottanta, con, tra le altre, pellicole come “Il ragazzo di campagna” (il film più celebre ed apprezzato, anche dallo stesso Pozzetto), “Mia moglie è una strega”, “Un povero ricco”, “E’ arrivato mio fratello” e “7 chili in 7 giorni” con Carlo Verdone.
Nei brevi ma intensi capitoli dell’autobiografia, l’autore racconta la passione per le barche, gli elicotteri, le auto sportive e il buon cibo.Parla dell’amicizia con Clay Regazzoni, Nelson Piquet e Riccardo Patrese. Con quest’ultimo ha vinto nel 1978 il Giro Automobilistico d’Italia, alternandosi alla guida di una Fiat Ritmo e si è meritato un quinto posto nella Parigi-Dakar del 1987, dopo aver partecipato per ben tre volte, tra passione, stanchezza e disavventure.
Non si è fatto mai mancare nulla Renato, neanche voli in elicottero e lunghe traversate del Po a bordo dell’amata barca, celebrate da tutti con entusiasmo ad ogni tappa nelle varie osterie affacciate sul fiume.
Ha amato alla follia la compianta moglie Brunella, alla quale pensa ogni giorno da quel dicembre del 2009 in cui è scomparsa. Con lei e i due figli, Giacomo e Francesca, Pozzetto ha condiviso ogni successo, trovando come maggior difetto della fama la sua incapacità di lasciare spazio agli affetti.
Renato confida al lettore, con un velo di malinconia, quanto gli manchi il mondo dello spettacolo di una volta, senza tralasciare la devozione verso il pubblico che gli ha dedicato affetto e applausi, ad ogni latitudine.
“Ne uccide più la gola che la sciarpa” è un libro scritto a cuore aperto, divertente e coinvolgente. Nonostante alla fine dia la sensazione di essere molto più sintetico di quello che avrebbe potuto essere, considerando quanto è stata piena la vita dell’autore. Ma forse questo alla fine è anche un merito, perché i capitoli scorrono spediti senza mai annoiare e non si dilungano troppo su riflessioni eccessivamente malinconiche. Ogni pagina sfogliata porta con sé un sorriso divertito e compiaciuto e non c’è soltanto il segnalibro a ricordarci che ci stiamo avvicinando alla fine della storia.
Renato, sempre con il sorriso, dice di essere orgoglioso di tutto ciò che ha fatto e di essere pronto alla chiusura del sipario della vita, nonostante per ora riesca a sentirsi fisicamente bene grazie ai farmaci. E vuole lasciarci una particolare eredità, decidendo di farlo come si deve. Fa un regalo ai suoi lettori tramite un lascito esclusivo e attraverso un incarico. Che scopriremo solo leggendo.
Perché la vita l’è bela. Ma l’è anche strana. E in fondo…basta avere l’umbrela.
Carico i commenti... con calma